Ti ammali di un cancro dei peggiori, che non si può operare. Sei considerata invalida al 100% perché quella massa che preme nella testa ti fa barcollare e parlare con la bocca storta. Ogni tanto ti si annebbia la vista e non ricordi cosa stavi facendo. E, quando i pensieri scappano per conto loro, ti prefiguri la morte. Metti in ordine nell’armadio di tuo figlio immaginando come lui frugherà tra jeans e magliette quando non ci sarai più.

Però, poi, irrompe una speranza. Tiri la sorte, come un condannato qualsiasi: punti tutto sulla terapia Di Bella, quella bocciata nel 1998. E va come va.
Va che sei qui a raccontarlo dopo quattro anni. Che i sintomi sono spariti, la massa nella testa è ferma e ti sei ripresa la tua vita di donna di 53 anni, moglie e madre di tre figli.

Ma ora arriva la beffa. Vivendo con un solo stipendio e dovendo affrontare i costi per le cure – 1.400 euro al mese solo per le medicine – chiedi giustizia a due tribunali. Sì perché il metodo Di Bella – non essendo riconosciuto dal ministero – è a pagamento anche se prevede molti farmaci oncologici cui un malato ha diritto quando a prescriverli è il medico ospedaliero.

Un primo collegio di giudici ti liquida con una vecchia sentenza, scritta anni fa: tira una riga sul nome di una bimba (anche lei vittima di una cura negata e chi lo sa se è diventata ragazza…) e ci scrive sopra il tuo. Fa copia e incolla senza guardarti negli occhi. “È esclusa l’efficacia antitumorale della terapia in questione per effetto della sperimentazione del 1998”.

Un altro giudice nomina un Ctu, il perito medico capace di valutare i documenti che hai portato. L’esperto stabilisce che i tuoi sintomi sono scomparsi e che il tumore è fermo, inchiodato da varie risonanze. Ora tocca a tre nuovi togati ammettere di non poter decidere perché la Legge è loro superiore e ti condannano a pagare le spese processuali più la metà del costo per il Ctu da loro nominato.

 

La protagonista di questa storia è Elena Bimbi, vive a Lucca. All’epoca della diagnosi aveva 49 anni, oggi ne ha quasi 54. Il suo medico, il neurologo Gino Masini, è stupefatto. “La signora aveva ottenuto un’indennità permanente, non era più autonoma. Non riusciva a camminare e, spesso, da sdraiata non trovava pace. Il suo glioma anaplastico del tronco è un tumore progressivo e sintomatico, venne valutato inoperabile per estensione e per posizione. I pazienti con gliomi maligni che superano i 24 mesi dalla diagnosi sono il 10%, ma spesso sono sottoposti a trattamento. Prima di iniziare la terapia Di Bella la mia paziente valutò la possibilità di radio e chemioterapia ma le scartò sapendo che non sarebbero state curative e per il timore degli effetti collaterali. La Di Bella che ha scelto dal giugno 2013 le ha ridotto l’edema e gran parte dei sintomi. Purtroppo non si può sapere fino a quando il tumore resterà fermo”.

Elena Bimbi risponde al telefono con voce ferma. Ci spiega di aver chiesto consulti in centri specializzati, a Milano e a Torino. “Gli specialisti erano concordi: l’intervento non si sarebbe potuto fare allora come non si può fare oggi. Non mi sono state date certezze sulle terapie, perciò non ero convinta di intraprendere radio e chemio, avevo già grossi problemi a muovermi, a stare sdraiata. Soffrivo di cefalee continue e non riuscivo nemmeno a parlare bene”.

Come è nata la decisione di affidarsi al metodo Di Bella? “Fu mio fratello a parlarmene. In realtà mi ero anche decisa per la radioterapia: era tutto pronto, ma, il giorno che avrei dovuto iniziare, la macchina si inceppò e rimasi nella stanza per due ore. Soffrii per tutto il tempo, non riuscendo a trovare pace in nessuna posizione, cosí ho deciso per la Di Bella”.

L’avvocato della donna, Valentina Iacopini, ha presentato dapprima due richieste d’urgenza nei tribunali di Pistoia e Lucca, entrambe rigettate, e poi i due successivi reclami. Conclusisi con un nulla di fatto. “A Pistoia ci hanno liquidato con una sentenza copia-incolla, un verdetto già scritto anni fa che non è stato cambiato di una virgola, hanno lasciato perfino il nome della bambina per la quale era stato presentato l’esposto – ha riferito l’avvocato – A Lucca hanno accolto la mia richiesta di nominare un consulente tecnico, il quale ha messo in evidenza la situazione della paziente. Vi è un miglioramento certificato, provato dallo stato di salute della donna e dagli esami strumentali. Ho chiesto che il collegio valutasse i dati oggettivi e il caso singolo, un giudice può disapplicare un atto amministrativo (quello che stabilisce che la terapia Di Bella non ha superato la sperimentazione). Mi sono sentita rispondere che la donna non ha fatto le terapie tradizionali e dunque non si può sapere se queste avrebbero funzionato. Insomma, non è ammesso il diritto di scegliere come curarsi”.

E non importa se la donna, con un tumore al cervello inoperabile, è migliorata. Dopo il danno è arrivata la beffa: Elena Bimbi paghi pure le spese. Tiè.

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