La fine della vita
C’è un consiglio di Stato che, contro la volontà dei genitori, decide di interrompere le terapie a una ragazzina di 14 anni in coma da giugno. Succede in Francia. (La spina al momento non è stata staccata). Leggete la notizia qui. E ci sono malati terminali, come Marina Ripa di Meana, oppressi dal dolore, che scelgono la “sedazione profonda” – che ė un annullamento della coscienza – fino alla morte.
Da un lato c’è il desiderio umano di far vivere la propria figlia a tutti i costi, dall’altro quello, altrettanto umano, di abbandonare una vita di dolore. C’è la speranza che non muore e c’è chi vede la morte come pace. La vita e la morte. In mezzo ci siamo noi. Noi che non possiamo decidere quando nascere e che non potremmo neppure prevedere il momento della nostra fine.
Marina Ripa di Meana ha divulgato con Radio Radicale un video delle sue ultime volontà, spiegando di aver scelta la sedazione profonda prevista dalla legge sulle cure palliative del 2010. Cliccate qui. Insieme con Maria Antonietta Farina Coscioni, già parlamentare, militante del Partito Radicale e fondatrice delI’Istituto Luca Coscioni, ha ripetuto agli ascoltatori “Fallo sapere, fatelo sapere”.
Cosa c’è da sapere?
Marina Ripa di Meana credeva di dover ricorrere al suicidio assistito in Svizzera come aveva fatto DJ Fabio. Ignorava la legge italiana che prevede la sedazione palliativa profonda per quei malati terminali che la richiedono. “Vorrei dirlo a quanti pensano che per liberarsi per sempre dal male si sia costretti ad andare in Svizzera, come io credevo di dover fare” – ci ha detto Marina. Precisando “che la sedazione si può scegliere anche a casa propria, o in un ospedale: una persona deve sapere che può tornare alla terra senza ulteriori e inutili sofferenze.”
Qualcuno si è chiesto se questo gesto abbia aperto una breccia nel muro dell’eutanasia.
Ne abbiamo parlato con Maria Antonietta Farina Coscioni, una laurea in economia, già parlamentare radicale, autrice di volumi dalla salute mentale negli ospedali psichiatrici giudiziari (prima della chiusura) al proibizionismo sulle droghe, la criminalità e corruzione; ideatrice del programma La Nuda Verità per Radio Radicale e dal 2014 presidente dell’Istituto intitolato al marito Luca Coscioni, morto di Sla nel 2006 a soli 38 anni.
Ancora confondiamo eutanasia con suicidio assistito e non comprendiamo parole come “sedazione profonda” o “accompagnamento”.
“È umanamente comprensibile ignorare il momento della morte fino a quando non ci tocca da vicino. Nel rapporto medico-paziente vige ancora troppo spesso una sorta di regola non scritta di tipo paternalista che prevede che, se il malato non chiede, il medico non risponde. Non si affrontano argomenti non richiesti. Il silenzio del malato è stato in passato spesso interpretato come volontà di non sapere”.
Invece, per scegliere in maniera responsabile e davvero in libertà occorre conoscere.
“Esatto. Marina – come molte altri malati che in queste ore mi stanno raggiungendo – ignorava l’esistenza del particolare percorso della sedazione palliativa profonda centrato sul paziente, attraverso il quale la persona è dormiente, fino al sopraggiungere della morte, senza patimenti e sofferenze anche stando a casa”.
E soffre quando muore?
“No, non vi è coscienza”.
Dopo quante ore, o giorni, avviene il decesso?
“Non si superano mai i tre, quattro giorni, ma il malato non ha la percezione della dimensione del tempo, seppur breve, non prova sete nè fame”.
Chi può scegliere la sedazione profonda?
“Chi è in una condizione di terminalità. Si è terminali quando non c’è una condizione di reversibilità”.
Cos’è l’accompagnamento?
È la sedazione palliativa che induce al sonno profondo; fa dormire chi non ha più prospettiva di vita per non sentire l’angoscia e la sofferenza della fine e può riguardare anche i malati non oncologici, come ad esempio un malato di Sla, di distrofia muscolare o chi, attaccato ad un ventilatore (o chi non vuole la tracheostomia) sia arrivato alla condizione in cui non lo tollera, quindi gli viene staccato; a quel punto morirà sedato perché non senta il soffocamento…”
L’accompagnamento è proposto ai genitori che hanno bimbi malati di Sma1 o di Leucodistrofia.
“Devono esistere appunto le condizioni di terminalità e i sintomi non più governabili con i farmaci”.
Ai genitori viene detto che “se non ce la fanno più a gestire i bambini possono lasciarli andare”.
Il ruolo del medico consiste nel coordinare gli sforzi, parlare e discutere con i genitori il momento adeguato per ogni tipo di intervento”.
Qual è la differenza fra eutanasia e suicidio assistito?
“L’eutanasia coinvolge un medico che dà il farmaco, vi è un tempo misurabile tra la somministrazione e la morte, è ammessa sui malati terminali dal 2002 soltanto in Belgio, Lussemburgo e Olanda. Il suicidio assistito comporta la capacità del soggetto di assumere il farmaco ed è prevista in alcuni Paesi europei, fra i quali la Svizzera”.
Come verrebbe affrontato oggi un caso come quello di Eluana Englaro?
“La legge sul testamento biologico oggi rafforza la definizione che nutrizione e idratazione artificiali sono trattamenti sanitari. Si legge infatti: ‘Sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici’”.
Abbiamo legittimato, nei limiti del possibile, il fine vita ma non siamo altrettanto attenti nel rispettare la speranza di chi ha un figlio minore malato, considerato inguaribile e vorrebbe ritardare il momento della morte non interrompendo i trattamenti sanitari, come hanno sentenziato i giudici a Nancy. O, nel caso dei tumori, aggrapparsi a una speranza, portando il proprio figlio all’estero per terapie sperimentali, cosa concessa agli adulti ma spesso ostacolata dai medici italiani quando si tratta di minori.
“È un altro discorso. Un adulto decide per sè, del proprio corpo. Quando sono minori a essere condannati si ha la responsabilità di un’altra persona sulla quale non è sempre facile decidere. Le situazioni che mettono in discussione le nostre certezze, insinuano dubbi; in ogni caso le risposte sono dolorose e tormentate. Ed è giusto sia così, perché si parla di vita e di morte, di sofferenza; e spesso i “protagonisti” di queste vicende sono muti, fragili, bisognosi di protezione”.
Ed è giusto che decida lo Stato?
“Un genitore è il responsabile e decide per il minore sempre che decida per il migliore interesse del minore. Ma se i motivi della decisione sono egoisticamente legati al fatto di non voler vedere perdere il proprio piccolo per sempre, giusto è che lo Stato ponga dei limiti a scelte non fondate scientificamente. Ma più in generale: la responsabilità dei genitori verso i loro figli minorenni. Fino a che punto si può esercitare ed è vincolante, e quando invece la si può (anzi, la si deve) superare?” .
Già, fino a che punto rispondono mamma e papà o decide lo Stato, voi cosa pensate?