Un microchip nel cervello per tornare a camminare
Alzati e cammina. Sì, ha del miracoloso la storia che sto per raccontarvi. E se è vero che ogni miracolo nasce negli occhi di chi guarda (in questo caso i miei), è altrettanto vero che la tecnologia applicata alla medicina ha fatto così tanti progressi da riuscire, per davvero, a far camminare gli infermi.
Questa è la storia di Roberta Valeri, romana, 61 anni. Che nove anni fa, durante una corsa, ha avuto un cedimento nell’andatura. “Il mio busto si fletteva da un lato, non riuscivo più a stare dritta – ricorda – All’inizio mi succedeva solo durante l’attività sportiva, poi sempre più spesso: sei anni dopo non riuscivo a reggermi nemmeno in piedi”. La malattia di Roberta si chiama distonia, una difficoltà motoria progressiva che provoca movimenti involontari. Nel 2015 si è trovata su una sedia a rotelle. Non solo. I dolori, effetto delle contratture, non le davano tregua. “La mia vita era diventata un inferno” mi racconta ora di persona, in calzoncini, scarpe da runner e pettorale.
Siamo alla Milano Marathon dell’8 aprile e Roberta ha appena concluso i suoi 10 chilometri di staffetta. Dal maggio 2017, da quando ha un microprocessore impiantato nel cervello, ha ripreso a correre, alla stragrande. A Milano è testimonial dell’Associazione per la ricerca della Distonia.
Come ci è arrivata a un intervento del genere?
“Vado fiera di aver scoperto da sola che all’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano praticano questo intervento con successo, da anni. Il mio neurologo non sapeva nulla. Non esiste cura per la mia malattia, solo antidolorifici, molti dei quali inutili”.
Ci racconti come è andata.
“In uno dei miei momenti di disperazione e di ricerca su internet ho visto immagini di un ragazzo che camminava come me. Prima e dopo l’intervento. Mi sono incuriosita e sono arrivata al neurochirurgo Angelo Franzini del Besta…”
Cosa ha detto il suo neurologo?
“Ė rimasto stupito, non conosceva questa tecnica, lui non avrebbe osato…”
Ma ora come sta? (Roberta mostra una protuberanza sotto pelle all’altezza del fianco, è la batteria dello strumento che funziona come un pacemaker e ha bisogno di “carica”).
“Alla grande, da subito. Non prendo più farmaci e conduco una vita normale. Cucino, corro, mi dedico a ciò che amo”.
Per saperne di più abbiamo raggiunto il neurochirurgo milanese, Angelo Franzini che, al Besta, rimette in piedi con i microprocessori un paziente a settimana.
“La tecnica si chiama Dbs, Deep brain stimulation. Non è una novità, nasce in Francia vent’anni fa, vi sono decine di pubblicazioni a riguardo. Trattiamo diversi disturbi quando i farmaci non sono più efficaci: i tremori del Parkinson, il torcicollo spastico, la cefalea a grappolo, alcune malattie autoimmuni come la sclerosi multipla. La differenza è che cambia l’area in cui viene posizionato il chip. Nelle distonie, il microprocessore è posto nel nucleo pallido del cervello che governa i movimenti”.
Quali sono gli effetti collaterali?
“Nessuno, se escludiamo gli ematomi e l’eventualità degli errori di posizione, cosa che potrebbe accadere con ogni protesi. Se qualcosa non va, spegnendo lo stimolatore si torna al punto di partenza. Quando si scaricano le batterie, ad esempio nel caso del Parkinson, i tremori si ripresentano subito. Nel caso della distonia vi sono miglioramenti progressivi. Non è una metodica curativa tranne che nella cefalea a grappolo”.
Risolve definitivamente i dolori?
“Sì, nelle distonie i dolori sono spesso dovuti a contratture, risolte queste, cessa anche il dolore. E poi perché si riescono a modificare i meccanismi cerebrali di interpretazione del dolore. Il cervello non è a compartimenti stagni, è composto da circuiti, agendo sui nodi dei circuiti, le correnti provocano degli effetti. Vi sono impieghi anche nelle sindromi da dolore cronico, nelle conseguenze delle ischemie e nel dolore da cancro”.
Funziona sempre?
“No. Nel 30% delle distonie non funziona. Non tutte le forme sono uguali anche se si presentano simili.”
Il follow up è solo una questione…di batterie?
“Esattamente. Le prime si sostituivano ogni 4 anni. Oggi abbiamo le ricaricabile che durano fino a trent’anni”.
Su youtube vi sono filmati di riprese stupefacenti, il bambino che gioca finalmente a pallone e il suo paziente più anziano di 82 anni…
“Quando le condizioni di vita sono estremamente invalidanti, un intervento simile restituisce qualità e serenità”.
Impieghi futuri?
“La stimolazione cerebrale profonda è destinata a ‘uscire’ dalla neurologia e a toccare altri ambiti, si può intervenire su alcune forme gravi di gastroenteriti, sulla narcolessia. Oltre che sul dolore cronico e su quello da cancro”.
In quali centri italiani, oltre al Besta si applica la Dbs?
“Siamo stati i primi. A Milano si fa anche al Galeazzi e a Monza al San Gerardo. Purtroppo c’è differenza tra nord e sud: in Piemonte, Lombardia e Veneto vi sono vari centri. A Roma si pratica in un solo ospedale e al sud in Sicilia”.
[foto della Milano Marathon di Nico Cavallotto]