Storia vera di Natale
Il fatto non sussiste e l’ospedale è assolto. Quante tragedie sanitarie finiscono così, la gran parte. A garanzia dell’oblio collettivo.
Altrimenti addio alla fiducia, alle frotte di pazienti, al business.
Di una mamma morta di parto non si trova quasi mai un responsabile perché errare è umano; il ricoverato che non ce la fa era sempre molto malato; le infezioni che prendono il sopravvento in corsia dipendono dalla generica antibiotico resistenza e le autopsie non rivelano quasi mai nulla se non gli arresti cardiocircolatori.
I processi e la mala sanità finiscono raramente col rispettare il diritto, più spesso con il sostenere la teoria prevalente, un po’ come fanno gli scienziati.
Qual è la teoria prevalente?
Quella che supporta l’immagine, ad esempio “ospedale eccellente”.
La storia
Cari amici del blog, il mio regalo quest’anno è una storia vera e il mio augurio per voi è il significato che porta con sé.
Bella non può dirsi, anche se la sua protagonista lo era. E altrettanto bella, se non di più, è stata la trama della sua vita.
Ma il finale – una morte fra dolori atroci dovuta a cure sbagliate, a soli 17 anni – ha trasformato tanta bellezza in tragedia.
Il libro
Lisa. La giustizia svanita in un sogno. Cronache reali e immaginarie dal Tribunale di piazzale Clodio (Armando Editore) è il romanzo scritto dai genitori di Lisa, Margherita Eichberg, Soprintendente a Viterbo presso il ministero della Cultura e Maurizio Federico, ricercatore dell’Istituto superiore di Sanità. Con l’incisiva prefazione di Elisabetta Frezza, giurista.
Abbiamo già parlato di Lisa sul blog, qui. Il libro racconta la storia della piccola adottata in Ucraina all’età di 5 anni assieme al fratello di 7 e morta per un trapianto di midollo da donatore non compatibile da cui non erano stati eliminati i globuli rossi non compatibili.
Un fatto assai grave che non può essere conseguenza di una svista poiché medici e infermieri conoscono, (dovrebbero conoscere), gli effetti devastanti che una trasfusione non compatibile arreca all’organismo. Lisa è stata indirizzata al trapianto velocemente (non aveva un tumore ma una piastrinopenia che in prima linea si affronta con una cura farmacologica che però Lisa non ha mai fatto).
Perché per Lisa è stata scelta da subito la terapia più invasiva, costosa e rischiosa?
Perché il midollo non fu “ripulito” dal sangue incompatibile?
Perché, nonostante fosse stato tipizzato il midollo del fratello, lui sì compatibile, l’ospedale ha scelto di procurarsi in Germania un midollo rivelatosi inadeguato?
Per trovare queste ed altre risposte i genitori hanno intentato più cause. Risultato? Dopo 5 anni, il fatto principale non sussiste, l’ospedale è assolto. La fama è così tutelata.
E il diritto alla salute? Quali garanzie avranno i malati in futuro?
Il romanzo alterna i fatti di cronaca a pagine romanzate, è articolato come un dialogo immaginario sia con la giudice che con i medici al cui cospetto si presentano tutti, mamma Margherita, papà Maurizio, la stessa Lisa e la madre naturale della ragazza, Tatiana, morta giovane, in povertà.
Il messaggio
Ognuno racconta una parte di sé, fra rimorsi, dolori, speranze.
C’è traccia degli incontri, come quello con la supponenza. “Buongiorno” sorrise Lisa dalla corsia. “Devi dire buongiorno, dottore” fu rimproverata da un camice bianco.
Quando si dice l’attenzione ai dettagli. E il giuramento Primum non nocere? A farsi benedire. Si racconta del giovane medico, “ultima ruota del carro”, partecipe alla sofferenza della ragazza, che davanti a Lisa morta bisbigliò “non siamo riusciti a curarti” ma che non ebbe il coraggio di aggiungere altro. “Non ha dimostrato coraggio ma, in mezzo a tanto cinismo, era l’unico a sembrare umano”.
La mamma naturale Tatiana ricorda che in Ucraina “non ci sono cure gratuite per tutti ma l’obbiettivo dei medici è curare e non fare profitto”. E c’è la replica dell’ospedale, “fare profitto è consentito dalla legge. Sua figlia è stata sfortunata”.
Risponde Tatiana: “Sfortunata è stata la mia vita, sono cresciuta indigente senza genitori ma una cura pensata e dispensata male non si chiama sfortuna”.
C’è la lezione appresa dal papà scienziato: “Non basta sapere, ho imparato che bisogna sorvegliare, non ho avuto la lucidità di rovesciare il tavolo al momento giusto. È sempre la paura la cattiva consigliera, che ti leva le forze e il ragionamento”.
Non c’è una risposta al perché sia avvenuto tutto questo, una tortura al posto di una cura. Sul finale c’è la preghiera di Lisa che dall’al di là si chiede se “la sua vita non valeva una riunione fra tutti i sanitari in cui ciascuno potesse trovare una soluzione migliore di una esecuzione?”.
“Tanti bambini muoiono di malattie atroce – riflette Lisa – tanti muoiono per le guerre, per incidenti o per stupide fatalità ma i bambini che muoiono senza aver mai rischiato la vita per essere caduti nelle mani di chi sosteneva di volerli curare da malattie semplici, questi sì, reclamano un necessario atto di giustizia che, nel suo piccolo, potrà aiutare a rendere il mondo migliore”.
Rilancio il messaggio: raccontare la storia di Lisa perché non ne accadano altre, condivido l’appello a “sorvegliare” perché nessuna fama è scontata se non si costruisce giorno per giorno.
