Sono le ultime ore della notte, sulla valle cade una nebbia bassa e a vederla da qui, da quella che ad Alvito chiamiamo da sempre la piazza, anche se per il resto del mondo è una terrazza lunga e stretta affacciata all’orizzonte, ti sembra davvero di stare nella terra di mezzo, quella di Tolkien, degli hobbit, lontano da tutto, quasi in un’altra era. Ti guardi intorno e vedi ragazzi con gli occhi stanchi, con la faccia distrutta da nove giorni senza sonno, quasi tutti hanno un po’ bevuto, nessuno è ubriaco, ma porta in faccia quello sguardo incantato, dove brilla la meraviglia. Sono stanchi, ma nessuno ha voglia di andare a dormire. Li capisci. E’ la paura di svegliarsi e di constatare che era solo un sogno. E se poi non era vero? C’è invece la voglia di continuare a raccontare, di dire questo e quello, di  Ellade Bandini, il batterista di Guccini e De Andrè, che si porta a spesso lo stesso nome dell’eroe di John Fante, quello di Chiedi alla polvere, e forse per questo se ne è andato a dormire a Picinisco, davanti alla porta di Casa Lawrence, con una sedia a sdraio come letto, una di quelle per il mare, e il cielo stellato sopra di sé. O della partita a bigliardino con Giorgio Conte, di tutti quelli che speravano di accompagnare in albergo Deborah Caprioglio, di Craig Warwick che conta gli angeli custodi alle spalle delle persone e tutti si girano a guardare, convinti che sia proprio così, perché in fondo tutti speriamo che lassù qualcuno ci ami e Giuseppe Di Piazza, direttore per anni di Sette, il settimanale del Corriere della Sera, che si ferma ad ogni angolo a scattare foto e poi aiuta a caricare casse e microfoni, come quando aveva vent’anni e scriveva di cronaca a Palermo. E Silvana Mossano che si commuove perché questa terra di gente che parte e non ritorna assomiglia a certe colline piemontesi. Pensi a una notte passata all’incrocio dei bar di San Donato con gli studenti della accademia d’arte, gli occhi di queste giornate, con le telecamere al buio a cercare la prima luce del mattino, ascoltando le loro paure e i loro sogni e pensando che meritano di più per quello che fanno del tozzo di pane con cui li ripaghi e vedi la gioia negli occhi del loro professore, Adamo D’Agostino, che li ha portati qua e se li coccola, come fossero personaggi di un fumetto ancora da scrivere. Sai che adesso alcuni di loro stanno collaborando con Tomaso Walliser per la sua web tv a Milano, tanto che uno di loro ha detto: “Venite al festival perché si trova lavoro”. Precario, certo. Ma è meglio di niente.

Lo sai che qui dovresti parlare del Festival delle Storie, però stavolta vuoi raccontare quello che c’è dopo, dopo il festival, o se preferite dietro le quinte del festival. Perché, in fondo, è questa la parte che ti sta più a cuore. E’ narrare di questa armata Brancaleone che ti segue in questo viaggio assurdo e pensa davvero che i mulini a vento siano cavalieri e che se non ci provi non può dire che sia impossibile. Tanto che alla fine loro ci credono più di te e allora li guardi, scoppi a ridere, e dici: voi siete matti. Siete matti a pensare chel a Valle di Comino sia un incanto sconosciuto, tanto che la gente torna, quasi di nascosto, dopo, dopo il festival, a camminare negli stessi vicoli e a ripetere a mente come fosse la formazione di una squadra di calcio i nomi dei paesi: Alvito, Atina, Picinisco, San Donato, Casalvieri, Gallinaro, Vicalvi. E’ matto Sgarbi a presentarsi una mattina perché aveva ancora tanto da vedere e quando riparte ti sussurra: “Tornerò”. E’ matto il tuo collega Massimo Malpica che l’ultima domenica del festival si ripresenta in valle con tutta la famiglia. E’ matto il tuo vecchio compagno di università Adelchi Battista che appare sul lago di Posta Fibreno non per vedere te, ma per regalare a sua moglie un pomeriggio romantico. E’ Carlo Annese, vicedirettore di GQ, che si paga il viaggio da Milano per aiutarti a moderare due giorni di appuntamenti. E’ Davide Bregola che parte da Mantova per vestirsi per nove giorni da tuo alter ego. E’ l’ultima chiacchierata con Edoardo prima che venga il mattino. Sono i litigi, la stanchezza e gli abbracci. Follia di chi vive di adrenalina e carica balle di fieno e corre di qua e di là per accompagnare gli ospiti. Sono matti tutti quelli che incontri a Roma o ti telefonano da Milano, da Firenze, da Udine, per dire che sono in astinenza da festival e vogliono tornare anche il prossimo anno e tu pensi: “come cavolo faccio a farli tornare tutti?”. Sono i messaggeri del Festival delle Storie ed è un passaparola che sta arrivando ovunque, tanto che ti ha chiamato un dirigente delle librerie gastronomiche  Feltrinelli Red, che ti chiede: “Ma cosa sta succedendo laggiù”. E sono pazzi, senza dubbio, Elisabetta, Rachele e Rachele, Edoardo, Mariarosaria, Patrizia, Michele, Virginia, Davide, Serena, Antonella, Eleonora, Rita, Paola, Biagio, Nadia, Alessandro, Salome, Marcello, Federica, Gregorio, Helen, e tutti quelli che ogni giorno o solo con un sorriso ti hanno aiutato, dalle pro loco ai comuni, da chi vive nei vicoli a chi ci ha messo alberghi e ristoranti. Sono pazzi gli sponsor che ci hanno aiutato. Siete senza dubbio pazzi voi della Banca del Cassinate che in questa storia ci state credendo con tutta l’anima.

La verità è che ancora non hai capito cosa sta succedendo, ma in quei nove giorni hai visto gente che si muoveva come se fosse a Macondo, in una di quelle storie da realismo magico, ubriachi di romanzi, di stelle, di paesaggi, di vicoli, di note, di racconti, di unicorni azzurri e di luci nelle case degli altri, di parole taciute e di avventurieri, di eroi di carta e di castelli incantati, di visciole e fettuccine al tartufo, di notti in bianco e di laboratori di cucina, di balli anni ’50 e rosso antico, di lettere di dimissioni e di radiolivres, di braccialetti e storie extravergini, di una ragazzina di dieci anni che ti chiede se è troppo piccola per partecipare ai corsi di scrittura e il papà che ti chiama in un angolo e, quasi vergognandosi, lui che fa in fissi in alluminio, ti chiede se può darti un piccolo aiuto, di chi ha scelto di venire in vacanza in un relais e di chi ha giocato a golf, di chi si è innamorato sotto un tiglio, di chi ti ha accompagnato in un blues di mezzanotte e di chi ha cantato la “lubellula”. E’  il cavallo che Roberto Diso, disegnatore di Tex, ha creato davanti a te, e tu lo hai dato a tuo fratello, e lui ha esclamato “Dinamite”, perché tutti e due sapete che questo è il nome del cavallo del ranger più famoso del West. E a vederlo commosso sai che gli hai fatto uno dei regali più belli della tua vita. Hai visto persone tornare sera o dopo sera e altre con il rimpianto di dover partire, perché il lavoro, la città, la vita li aspetta. Hai visto un bambino con un libro in mano, sereno, fregarsene del mondo e una bambina abbeverarsi ad ogni storia e chiedere: raccontami ancora. E’ lo stupore degli ospiti, tutti, tutti e centoventi, che hanno esclamato: questa valle è un paradiso.

Ogni tanto qualcuno ti chiede: ma cos’è precisamente il festival delle Storie? La risposta precisa non l’hai ancora trovata. Ma più o meno è qualcosa che assomiglia a questo.

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