Nel mondo sono in atto talmente tanti conflitti da non riuscire nemmeno a contarli con esattezza. Noi ovviamente veniamo informati su quelli più prossimi, quelli che hanno un impatto sulle nostre vite o comunque sulle nostre economie. Ma la realtà è che ovunque vi sia un conflitto armato, in un mondo globalizzato, in qualche misura esso ricade anche sulle nostre tasche e quotidianità.

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Secondo l’Institute for Economics and Peace nel 2015 le guerre e i conflitti hanno avuto un costo complessivo di 13,6 triliardi di dollari a parità di potere di acquisto (PPP), per le consueguenze dovute alla perdita di produttività, al calo dei livelli di consumo e ai costi connessi agli omicidi e il terrorismo. Secondo il Global Peace Index la riduzione el 10% di questo fenomeno varrebbe quindi quasi 1,5 triliardi di $, ovvero sei volte il valore del bailout della Grecia.

Ragionare così a tavolino su questi numeri è ovviamente un esercizio quasi lezioso, ma fa riflettere sull’incapacità di mettere un freno a conflitti che spesso dietro a cosiddetti -Ismi, hanno una natura strettamente economica. Ed è per questo motivo che il dibattito andrebbe instradato in questo campo e non esclusivamente sulla natura religiosa, etnica o psichiatrica. Si guardano troppo spesso gli esiti, senza tenere conto dei rapporti causa-effetto. Ma al banchetto del mondo tutti vogliono abbuffarsi e non seguire una dieta che consentirebbe di vivere meglio e a lungo. Non è una novità degli ultimi anni e nemmeno degli ultimi secoli. Le guerre scandiscono da sempre la storia dell’umanità, senza che il ricordo riesca a disinnescare future e quotidiane tragedie.

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