Per un attimo, esattamente 24 anni dopo, mi è sembrato di rivedere le tragiche scene di Capaci: un’auto che trasporta un’autorità pubblica, seguita dagli uomini della scorta, e improvvisamente braccata e colpita dall’agguato dei mafiosi, che provano a consumare una strage.
Sì, la mafia uccide solo d’estate ma a volte ci prova anche in tarda primavera, e continua a farlo adottando gli stessi metodi che hanno segnato la drammatica stagione stragistica di inizio anni ’90: intimidazioni, lettere minatorie, e poi attentati e omicidi, nel tentativo di tappare la bocca a chi è scomodo, di mettere fuori gioco chi dice la verità e non ha paura di combattere il Male, di eliminare le persone perbene in una terra dove vogliono comandare solo gli uomini d’onore.
In questa sorte è incappato due giorni fa scampandovi per miracolo anche il presidente del Parco dei Nebrodi (Messina) Giuseppe Antoci, da sempre impegnato nella lotta contro la mafia dei pascoli, delle macellerie clandestine, dell’utilizzo illecito di fondi europei. Una lotta vera, la sua, fatta di azioni e parole, di proclami e gesti concreti non come quella di alcuni santini dell’antimafia, che spesso poi con la mafia si scoprono collusi.
No, Giuseppe Antoci, da quando è presidente del Parco (2013), ha adottato varie misure efficaci per contrastare le associazioni criminali, come quel protocollo di legalità (il primo in Italia! ) che contiene le linee guida per contrastare le infiltrazioni mafiose nelle procedure di assegnazione a privati dei beni presenti in un Parco. Per quel suo sforzo dopo aver ricevuto missive con minacce di morte e proiettili in busta da lettera due notti fa ha subito nel Messinese una vile imboscata su strada, vedendo l’auto di scorta sulla quale viaggiava colpita da una sventagliata di armi da fuoco. Solo per l’intervento dei poliziotti e del vicequestore che viaggiavano in una macchina a poca distanza dalla sua e per il coraggio degli uomini della scorta che hanno ingaggiato una sparatoria con i criminali, Antoci è riuscito a salvarsi e ha potuto raccontare l’accaduto con parole che ogni cittadino onesto dovrebbe applaudire e poi meditare in silenzio: «Se pensano con il piombo di stanotte di avere fermato la mia azione di legalità, si sbagliano di grosso. Perché più passano le ore e più penso di essere dalla parte giusta e non mi fermerò qui». Se questo non è un eroe…
Ma come a lui, mi piace attribuire la definizione di “eroi” anche alle forze dell’ordine e agli agenti della scorta che, con sprezzo del pericolo, hanno sventato l’attentato e che, in generale, ogni giorno rischiano la propria vita e a volte la perdono (basti ricordare gli “angeli” di Falcone e Borsellino) in nome di una causa nobilissima: la dedizione totale allo Stato e alla persona che devono difendere. E voglio estendere questa definizione anche a tutti i magistrati che in quella terra e in tutta Italia con grande sacrificio e spirito di abnegazione combattono senza paura il cancro mafioso, cimentandosi in una battaglia quotidiana, provando a trovare, se non la cura, quantomeno un argine al dilagare di questo Male. Confido che, anche in questo caso, con le loro indagini sapranno identificare e punire con la giusta condanna questi ominicchi, come li chiamava Sciascia, questi esseri più vicini alle bestie che non esito a definire bastardi, perché figli di quella Malafemmina chiamata Mafia.
Eppure loro no, non vinceranno, almeno finché ci saranno uomini come Antoci o i poliziotti e magistrati che, ogni giorno, si cimentano in un corpo a corpo muscolare con l’Antistato. Lo Stato e la politica, piuttosto, dovrebbero trarre esempio dalla loro azione valorosa e operare in maniera concreta per dimostrarlo: in primo luogo esprimendo una vicinanza non formale o di circostanza ad Antoci, ma offrendogli riconoscenza e ancora maggiori tutele perché possa portare avanti il suo lavoro; quindi cercando di imitarne il coraggio nell’affrontare a viso aperto le mafie, senza renitenze o peggio ancora senza patti e compromessi, alla luce del sole, sulla base della convinzione che come diceva Falcone la mafia è un fatto umano e come tutti i fatti umani destinato a finire; da ultimo, dando una risposta immediata e durissima a quanto accaduto, senza tentennamenti e sottovalutazioni del caso, e soprattutto senza finti garantismi che a fronte della minaccia spietata della mafia non hanno senso di esistere.
Sarebbe un modo non solo per ridare un’esistenza libera e sicura a uomini onesti come Antoci. Ma anche per riprenderci il nostro meraviglioso Paese. Perché l’Italia è nostra, non di Cosa Nostra.

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