Obama rispolvera Martin Luther King
Obama parla ad Atlanta, al Morehouse College, il famoso ateneo dove studiò l’uomo che ha dato la vita per i diritti civili: “Qui, in questa università, Martin Luther King imparò come cambiare l’America”. Il presidente indossa la toga amaranto e parla ai neolaureati. Non nasconde una certa emozione, perché non ci sarebbe mai stato uno “yes we can” se non vi fosse stato lui, Martin Luther King. “Qui è cominciato quel cambiamento che ha portato uno di voi alla Casa Bianca. Questo luogo – prosegue Obama – insegnò a Martin Luther King Jr, all’epoca solo un ragazzo, come forgiare il suo intelletto, rafforzare la sua anima, la disciplina, la compassione che poi avrebbe trasformato l’America. Qui lesse gli scritti di Gandhi, e la teoria della disobbedienza civile, la lotta non violenta. Qui trovò i professori che lo incoraggiarono a guardare al mondo com’era e come avrebbe dovuto essere. Qui, come scrisse King più tardi, imparò che nessuno doveva avere più paura”. In questi discorsi, densi di retorica ma anche di valori profondi, Obama dà sempre il meglio di sé.
Il presidente ricorda che nell’America a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, immersa in una cultura che riteneva i neri inferiori, sottomessi, impauriti, “il giovane King imparò a rialzare la testa, sconfiggendo la paura, l’ingiustizia, il cinismo, aprendo le porte a tutti per nuove opportunità. Da quel giorno – aggiunge Obama – i cuori, le leggi, tutto è cambiato. Sino al punto che uno come voi è diventato presidente degli Stati Uniti”.
Ma quella di Obama non è solo una rievocazione. Il suo è un messaggio politico intergenerazionale: “Quello che chiedo oggi a voi è lo stesso che chiedo a tutti i neo-laureati, usate il vostro potere, la vostra forza per raggiungere qualcosa di più grande di voi stessi”. Un invito a pensare in grande, all’insegna dell’americam dream. Poi una stoccata, rivolta proprio alla comunità afroamericana: “Quello che ho imparato negli ultimi anni è che non c’é più spazio per scuse al livello razziale”. Il presidente osserva che “le scuse sono quegli strumenti cari agli incompetenti per costruire monumenti basati sul nulla”. Obama precisa subito che non intende dire che “il razzismo e i suoi pericoli sono svaniti del tutto”. Ma che in un mondo “sempre più interconnesso, supercompetitivo, di fronte a un miliardo di ragazzi che vengono dalla Cina, dall’India e dal Brasile, nessuno ti darà più qualcosa in più di quanto tu te lo sia guadagnato studiando e lavorando duro”. L’elogio della meritocrazia. Altro pilastro del sogno americano. “Le discriminazioni che potete vivere voi possono essere le stesse che vivono i latinos, i gay, le donne sul posto di lavoro”. Obama conclude il suo intervendo citando un famoso discorso di Steve Jobs. E assicura ai ragazzi che se saranno “affamati di sapere” (“Stay hungry, stay foolish”) nessuno “potrà mai” fermarli. Un invito a non perdere mai la fiducia, a credere nei propri mezzi e a darsi da fare, sempre, per raggiungere i propri obiettivi.