La crisi dell’Italia? È colpa della Germania!
Nel passaggio tra la crisi innescata da Lehman Brothers e quella del debito sovrano europeo, l’Italia si è spostata dall’area di contagio dei Pigs (Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda) a una situazione «che la vede maggiormente» vicina a Francia e Germania. A dirlo è uno studio pubblicato sui Quaderni finanziari della Consob: «L’Italia non costituisce, nonostante le sue intrinseche fragilità – si legge nello studio – un centro di propagazione di contagio» ma continua a essere un Paese target, cioè un’area contagiata piuttosto che un focolaio di contaminazione.
Gli autori della ricerca spiegano innanzitutto che il modello utilizzato è differente da quello tradizionale. In generale, le teorie economiche si fondano su schemi di previsione: tanto più i dati dell’esperienza si discostano dalle stime tanto più si tende a catalogarli come «anomalie». Le crisi, secondo questa scuola di pensiero, sono dunque un qualcosa di «residuale», un’accentuazione di un fenomeno particolare (come può essere il fallimento di una grande banca o l’esplosione del debito pubblico di un piccolo Stato).
Lo studio della Consob rovescia il paradigma e aggiunge all’osservazione dei dati (quotazioni di Borsa, tassi di cambio, rendimento dei titoli di Stato) anche una variabile «irrazionale» (o emotiva) : attacchi speculativi, panico, problemi di
coordinamento tra gli operatori. E il risultato è sorprendente. Il fallimento di Lehman ha segnato una maggiore interdipendenza dell’Italia con i Paesi più deboli (anche perché l’esposizione del nostro sistema finanziario era paragonabile a quella della Spagna). Al contrario, la crisi del debito è stata caratterizzata da una maggiore interrelazione con Francia e Germania.
E, dunque, si torna a quello che è l’interrogativo economico-politico di sempre. Quale colpa ha scontato il nostro Paese? Di sicuro, non quella di avere fondamentali vicini al collasso come accaduto per Atene, Lisbona e Madrid. Piuttosto l’Italia ha pagato l’enorme massa di debito pubblico e la sua «fragilità reputazionale», ossia l’essere considerata meno affidabile sia per demeriti propri che per l’insistenza di Berlino e Parigi nello scaricare su Roma l’inefficienza di un contesto economico-finanziario che funzionava (e fatta salva la Bce) continua a funzionare male. Ovviamente, tutto questo la Consob non lo afferma esplicitamente, ma l’aver posto l’accento sull’irrazionalità del mercato è un chiaro segno di come l’orlo del baratro raggiunto alla fine del 2011 fosse imputabile anche alla compagnia di Gatto-Sarkozy e Volpe-Merkel.
Wall & Street