Grillo costa 21 miliardi alle banche
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Il modo migliore per porgere la bombola d’ossigeno alle nostre imprese sull’orlo dell’arresto cardiaco a causa di 7 anni di crisi ininterrotta, è liberare le banche di buona parte del fardello delle sofferenze. Come? Creando una bad bank, in pratica una “discarica” dove chiudere buona parte delle sofferenze e degli incagli provocati dalla difficoltà di famiglie e imprese a restituire agli istituti di credito i mutui e i finanziamenti ricevuti negli anni scorsi. L’idea è di Mediobanca ed è contenuta nella consueta Wake up call ma – ed è questo il punto debole del progetto – le urne e l’affermazione del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, avvenuta soprattutto ai danni del Pd di Pier Luigi Bersani e di Sel di Niki Vendola, hanno consegnato il Paese all’ingovernabilità. L’Italia non ha pertanto un esecutivo in grado di andare a battere i pugni sui tavoli dell’Unione Europea. Secondo i calcoli di Mediobanca, per rendere operativa la Bad bank e dare fiato alla nostra economia, occorrerebbe infatti un versamento da 18 miliardi da parte dell’Esm. Non molto in valori assoluti, visto che la stessa Italia contribuisce con 125 miliardi al nuovo Fondo “salva Stati” europeo, ma a causa dell’impasse politica non si sa che strada prendere. In alternativa – i conti sono sempre degli esperti di Piazzetta Cuccia – alle banche italiane occorrono 21 miliardi per aumentare la copertura dei crediti dubbi, allineandole agli standard europei. Gli istituti della Penisola hanno infatti attualmente una copertura media del 39% dei crediti dubbi, decisamente inferiore alla media del Vecchio Continente (53%): si va dal 43% di Unicredit e Intesa Sanpaolo al 24% del Banco Popolare. La grande pulizia di bilancio potrebbe avvenire adesso nei bilanci del 2012 che i consigli di amministrazione si apprestano ad approvare, appesantendo il quarto trimestre, mantenendo adeguati indici patrimoniali e dividendi in linea con le attese. Per Unicredit e Intesa si tradurrebbe in uno «sforzo» da 8 miliardi ciascuna.
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Le sole “sofferenze” (cioè i crediti scaduti esplosi nelle mani delle banche con minusvalenze sicure) sono 126 miliardi, un problema che sta togliendo il sonno ai banchieri e più volte affrontato anche dal consiglio dell’Abi. Il dato, che si riferisce a gennaio, risulta in crescita del 17% rispetto a un anno prima, ma soltanto una parte di questo aggravio sarebbe da considerarsi “naturale” e quindi imputabile alla recessione. A fare i conti è uno studio della Fabi guidata da Lando Maria Sileoni, il primo sindacato dei bancari con oltre 100mila iscritti, 97 sedi provinciali e 4.500 dirigenti (compresi gli attivisti). «Soltanto il 10% dell’incremento riscontrato nelle sofferenze – attacca il leader della Fabi – è dovuta alla crisi, il restante 7% è invece imputabile alla cattiva qualità del credito e alla cattiva gestione. In sostanza ai finanziamenti concessi ai soliti noti anziché alle famiglie e alle piccole e medie imprese del territorio». Un modo chiaro, quello del leader sindacale, per dire “no” ad altri piani di austerity e a ulteriori tagli al personale delle banche. Considerando gli esodati e i pre-pensionati con il Fondo esuberi, la crisi ha cancellato 55mila posti di lavoro tra filiali ed uffici di back office.
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