Perché l’ombrello del Tesoro ha 8 miliardi di buco
Se il cielo minaccia pioggia, è prudente uscire da casa portandosi dietro l’ombrello. È una regola pratica elementare. Che i professionisti della finanza non trascurano mai. Se ci si espone al rischio con un investimento qualsiasi, è sempre bene portarsi dietro un «ombrello» virtuale. È ciò che nella vita di tutti i giorni chiamiamo «assicurazione» e che in Borsa diventa una parola quasi «magica» e che l’inesperto tende a identificare come l’origine di molti mali: il derivato.
Se comperiamo azioni di qualsiasi tipo, stiamo scommettendo su un rialzo dei titoli. È altrettanto concreta, tuttavia, la possibilità di un ribasso. Come difendersi? acquistando un’opzione «put», ossia un titolo che offre il diritto di vendere quelle stesse azioni a un prezzo – più basso – ben determinato. Se le nostre azioni salgono, è tutto ok e ci sarà solo una piccola perdita legata all’«assicurazione» comprata con la put. Se invece scendono, con la put ci saremmo messi al sicuro. Lo stesso vale per i titoli di Stato: anche quando compriamo un Bot o un Btp sarebbe bene acquistare un Credit Default Swap (Cds), cioè un titolo che copre il rischio di fallimento dell’emittente, in questo caso l’Italia. Il ragionamento è lo stesso dell’opzione put: se ci arrivano i cedoloni, tutto ok. Se il Paese fallisce, il fatto di trovarci (probabilmente) in mezzo a una strada sarà un po’ compensato dal nostro Cds.
E allora perché tutto questo clamore sugli 8 miliardi di euro che il nostro Tesoro rischia di pagare alle banche internazionali che l’hanno assicurato? Perché, in questo caso, l’ombrello di cui si era dotato il ministero dell’Economia sembra avere un bel buco. Un buco largo 8 miliardi. Ma spieghiamolo nel dettaglio.
Da oltre 20 anni il Tesoro ha stipulato dei contratti derivati con primarie banche internazionali per proteggersi dal rischio di tasso. Che cosa significa? Siccome il nostro debito pubblico (oggi ben sopra i 2.000 miliardi di euro) è stato tutto trasformato in titoli di Stato, nel caso di un’impennata dei tassi di interesse grazie a quei contratti la «botta» sarebbe stata un po’ meno pesante in virtù di flussi di cassa costanti assicurati dalla controparte, cioè la banca internazionale (in alcuni casi Morgan Stanley).
Come funzionano questi derivati che sono costantemente sotto lo scrutinio della Corte dei Conti? Sono contratti plain vanilla, cioè sono semplici: si scambia un tasso di interesse fisso con un altro tasso di interesse variabile. Il vincitore è quello che si trova nella condizione di ottenere un saldo positivo.
Questi contratti che negli anni ’90, in pieno clima di attacco alla lira, hanno garantito a Via XX Settembre non pochi benefici. Sia il Financial Times che Repubblica ipotizzano che i conti predisposti da Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi per entrare nell’euro siano stati imbellettati anche grazie a quei derivati (circostanza smentita dal Tesoro). L’anno scorso, però, nel bel mezzo della tempesta dello spread il governo di Mario Monti tramite il ministro Vittorio Grilli ha ben pensato di rinegoziare alcune clausole e su 32 miliardi di ammontare, ben 8 (cioè il 25%) sono in perdita. Ben inteso, è una perdita potenziale che si concretizzerebbe nel caso in cui il contratto fosse chiuso alle attuali condizioni dei mercati. A preoccupare è l’ammontare della massa dei derivati: 160 miliardi.
Ma vediamo ancora meglio i dettagli dell’unico contratto di cui si ha certezza. Il Tesoro il primo maggio del 2012 ha ristrutturato un derivato con scadenza 2036 che aveva per oggetto 3 miliardi di titoli di Stato, accorciandone la scadenza al 2018 e ampliandone la portata a 9 miliardi. Con quel derivato lo Stato scambiava un tasso fisso del 4,6% con l’Euribor a 6 mesi (praticamente nullo) . Tutto questo è stato effettuato attraverso la vendita di una swaption (un’opzione che consente di entrare su quel contratto derivato) che sul momento ha generato anche un incasso. In piena crisi da spread con il differenziale di rendimento coi Bund tedeschi a 500 e i Btp al 6%, quel contratto per l’Italia era una bella polizza ancorché su un ammontare minimo rispetto alla massa in scadenza. Ma con lo spread in calo, quell’assicurazione si è trasformata in un onere aggiuntivo. Mario Monti ha tante responsabilità, forse non quella di aver sottoscritto – in stato di necessità – un’assicurazione che poi si è rivelata un capestro. Anche se alcuni critici sostengono che se si teme uno shock, è meglio comprare piuttosto che vendere opzioni. E forse anche questo dà l’idea della fragilità della nave-Italia all’interno dell’area euro: anche con l’ombrello rischi di restare inzuppato.
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