Letta fa un cadeau da un miliardo alle banche
La Legge di Stabilità contiene un aiuto da almeno un miliardo per le principali banche italiane, che nel 2014 dovrebbero così veder aumentare l’utile per azione di una media del 7% e l’anno successivo del 5%, con un risparmio sul carico fiscale rispettivamente di 560 e 502 milioni. A fare i conti sono gli analisti di Mediobanca Securities, analizzando l’ultima bozza del provvedimento allo studio del governo Letta: la prospettiva è che le banche e i gruppi assicurativi del nostro Paese possano dedurre le perdite sui crediti in cinque anni e non più in 18 anni come adesso.
La misura è da tempo nel cuore dell’Abi di Antonio Patuelli, l’associazione che cura le lobby dell’industria del credito, ed è volta a ridurre il gap esistente anche in termini di concorrenza rispetto a quanto accade nel resto d’Europa. Per avere un’idea dell’importanza del cadeau e della sua urgenza, basta però qui ricordare che il sistema bancario italiano è schiacciato da 340 miliardi di crediti deteriorati, considerando la somma di sofferenze (140 miliardi) e incagli. Come abbiamo già scritto su questo blog si tratta di una bomba inesplosa.
La concessione del governo ha offerto così spazio al fronte sindacale per lanciarsi in un’altra battaglia nell’ambito della guerra finale in corso contro l’associazione di Palazzo Altieri dopo la disdetta del contratto nazionale. A denunciare nuovamente la “politica dei due forni” del sistema bancario è stata la Fabi, il primo sindacato del settore con 100mila iscritti. Il significato del dardo scagliato dal segretario Lando Maria Sileoni è inequivocabile: le banche non possono pensare di ricevere con una mano dall’esecutivo, mentre con l’altra rompono la cornice normativa che regola la vita dei 300mila addetti che lavorano nelle filiali e negli uffici di back office. Senza contare la prospettiva, messa per iscritto da Palazzo Altieri nella lettere di disdetta, che se i sindacati non accetteranno di tornare al tavolo e trovare un punto di incontro, la categoria potrebbe restare senza un accordo nazionale. A quel punto avrebbe campo libero la deregulation perché, dopo decenni di concertazione, la contrattazione avverrebbe solo banca per banca. La Fabi, insiste Sileoni, ha «sostenuto la necessità» di questo provvedimento fiscale e lo accoglie «con soddisfazione, nonostante l’atteggiamento di qualche banchiere che lo ritiene insufficiente, quando in realtà è un passo avanti significativo per l’allineamento del sistema bancario italiano» alle concorrenti europee. Nelle parole di Sileoni, la premessa sistemica si trasforma però quasi subito in uno schiaffo sul viso dell’Abi: l’esecutivo Letta ha dimostrato una «particolare attenzione» per il sistema bancario, «attenzione» – attacca il sindacalista – che invece Palazzo Altieri «non ha verso i lavoratori» del settore. Il riferimento è alla decisione dell’Abi di rottamare il contratto con dieci mesi d’anticipo rispetto alla sua scadenza naturale prevista a giugno 2014.
Da qui lo sciopero nazionale, già indetto per giovedì 31 ottobre da tutte le sigle del credito (oltre alla Fabi, Fiba, Fisac, Uilca, Ugl, Sinfub e Dircredito): è la prima volta dal 2000. Più nel dettaglio, nei progetti dell’Abi il nuovo contratto dovrebbe essere riformulato su due livelli contributivi: uno per i lavoratori del commerciale e un altro per l’«improduttivo» back office. Gli over 50 più esperti sarebbero invece riconvertiti in figure consulenziali simili ai promotori finanziari, mentre alcuni degli addetti più anziani sarebbero accompagnati alla pensione tramite una apposita revisione del Fondo Esuberi, che dovrebbero essere trasformarlo in un Ente bilaterale. La mossa mira a saltare i tempi oggi imposti dall’Inps e ad allungare lo scivolo di uscita a 7 anni rispetto ai 5 attuali.
I toni utilizzati dalle parti dimostrano che le posizioni ufficiali restano distanti ma, come anticipato da il Giornale, si sta già cercando un filo di ferro abbastanza forte per saturare la ferita dopo lo sciopero di fine mese: l’idea è allargare l’offerta commerciale delle banche a prodotti “collaterali” e non finanziari, così che le famiglie italiane possano entrare nella filiale sotto casa anche solo per comperare biglietti ferroviari, aerei, teatrali o sottoscrivere contratti telefonici, energetici e forse anche immobiliari; le piccole e medie imprese troverebbero invece servizi di assistenza, per esempio fiscali e per la compilazione del bilancio.
Tornando allo studio di Mediobanca Securities, saranno nello specifico la Popolare dell’Emilia Romagna e il Credito Valtellinese (quindi due coopertive) le banche che beneficeranno maggiormente del provvedimento contenuto nelle Legge di Stabilità, con un aumento potenziale fino al 20% degli utili attesi nel 2014. Per Unicredit si calcola invece un miglioramento del 5% dei profitti, per Intesa Sanpaolo del 6% e per il Credem del 3 per cento.
Wall & Street