Landini, giù le mani dalle pensioni integrative!
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Questo è il video dell’esposizione del pensiero di Maurizio Landini, segretario generale della Fiom-Cgil, sulla previdenza integrativa esposto durante la puntata di Ballarò. Analizziamolo parola per parola.
«L’Italia è diventato un Paese con un sistema pensionistico puramente contributivo che in giro per l’Europa non esiste. Ho parlato col sindacato tedesco (…) E tra l’altro vorrei ricordare che nel programma della grande coalizione han ridotto l’età pensionabile da 67 a 63 anni (…) Quando tu parli con loro tu hai pezzi della previdenza di altri Paesi che sono a carico anche della fiscalità generale perché c’è un problema, a volte, anche di solidarietà che tu devi fare rispetto a un ragionamento per poter dare un rendimento».
L’Inps nel 2012 ha registrato un disavanzo di 106 miliardi di euro perché i contributi incassati sono di gran lunga inferiori ai trattamenti erogati. La crisi con l’aumento esponenziale della cassa integrazione e il blocco del turnover ha fatto sì che il numero dei lavoratori sia inferiore al numero di pensionati. Il patrimonio è dimagrito a 15 miliardi. Dipendenti pubblici, artigiani e coltivatori diretti sono le gestioni previdenziali con il maggiore rosso. In totale fanno -20 miliardi. I parasubordinati (i precari) pagano oggi le pensioni degli altri.
Le modifiche immaginate da Landini presuppongono, visto il maggior intervento dello Stato e l’abbassamento dell’età pensionabile, un incremento della pressione fiscale per far fronte alla necessità di rivalutare i contributi versati.
«Il lavoro è il problema centrale da cui dovremo partire. Se non ti crei il problema di fare piena occupazione (…) Difendere il lavoro che hai e crearne nuovo è la priorità. Io vedo la necessità, per creare lavoro e per difenderlo, c’è il problema di far partire gli investimenti sia pubblici che privati».
Lasciamo perdere gli anacoluti. In televisione vanno di moda. Anche l’affermazione è generica: chi di noi non desidera un aumento dei posti di lavoro? Il problema è il come: servono più investimenti. Ma in tempo di crisi la propensione al rischio tenta diminuisce e perciò occorre un aiutino.
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«Oggi sei in una fase in cui devi fare delle scelte mirate. Qual è un piano dei trasporti? Qual è un piano delle energie rinnovabili? Qual è un piano per l’agenda digitale? Ci vorrebbe un piano straordinario per le scuole, per l’efficientamento, per il risanamento. I soldi devi andarli a prendere. Io dico: i fondi pensione integrativi. Dove vengono investiti questi soldi? 100 miliardi di euro che ogni giorno vengono investiti. Il 70% in titoli di Stato esteri e soldi (sic!) di aziende estere. Non è possibile. Sono i soldi dei lavoratori usati da imprese estere. Ma non è possibile, garantendo il rendimento, trovare i soldi per incentivare investimenti e infrastrutture?»
Ma le cose stanno veramente così? Ecco quanto valevano nel 2012 i nostri fondi di previdenza complementare:
Si tratta di 104 miliardi di euro destinati alle prestazioni previdenziali integrative. Gli italiani vi hanno versato 12 miliardi di cui 5,1 miliardi dal Tfr. Sono i risparmi di chi sa già che la pensione non gli basterà e si sta costruendo una rendita integrativa. Un po’ perché costretto dalla riforma partita nel 2007 un po’ perché crede nel sistema dei fondi pensione.
Gli investimenti in titoli di Stato sono pari al 60% del patrimonio e non al 70 e soprattutto oltre il 30% è rappresentato dai nostri Btp. Gli investimenti in titoli azionari sono contenuti perché l’obiettivo dei gestori di questi fondi è garantire un rendimento, cioè la rivalutazione delle quote versate volontariamente. Inoltre lo Stato già finanzia questo tipo di scelte. Il cittadino gode di deduzioni fino a 5.164 euro per le quote versate annualmente. I fondi di categoria (quelli in cui confluisce il TFR salvo scelte diverse) sono aiutati sgravando le aziende dell’importo aggiuntivo che versano congiuntamente al lavoratore.
Trasformare i fondi pensione in fondi di private equity che finanziano lo sviluppo industriale vuol dire snaturarli. Essi assolvono già a una funzione sociale comprando il nostro debito pubblico. Inoltre le startup – per natura – iniziano in perdita mentre il fondo pensione ha quasi l’obbligo di guadagnare. Se lo Stato fosse chiamato a coprirne le perdite, oltre a deresponsabilizzare i gestori, sarebbe costretto ad aumentare la pressione fiscale per fare fronte allo sbilancio. Ma forse questo Landini e il suo nuovo amico Matteo Renzi non lo sanno.
Wall & Street