03Feb 14
Berlusconi e Renzi lavano più bianco
C’è poco da fare. L’opinione pubblica compara le offerte politiche nello stesso modo in cui si sceglie un detersivo sugli scaffali di un supermarket. Non è qualunquismo né, tanto meno, una forma diversa di demagogia. Anzi, la contemporaneità ha costretto le classi dirigenti a orientarsi secondo i desideri dell’opinione pubblica (le ricerche di mercato, i sondaggi sono esemplificativi di questo orientamento) per cui oggi è impossibile fare politica seguendo schemi paternalistici in base ai quali far accettare alla gente soluzioni poco condivise. Anzi, il politico contemporaneo deve essere in grado di offrire una risposta ai problemi, di disegnare un mondo nuovo, di far sognare. Proprio come un qualsiasi prodotto scatena un mix di emozioni nei confronti del consumatore.
Ecco quindi che
la forza di un marchio, di un brand,
la capacità di produrre leadership diventano tratti distintivi della politica stessa. Da quando
Silvio Berlusconi, vent’anni fa, è sceso in campo, i parametri si sono ribaltati. E alla fine, anche la «concorrenza» ha sfornato un prodotto in grado di reggere il confronto. Per questo motivo ci è sembrato opportuno consultare nuovamente
Giampaolo Rossi, direttore generale di
Adexia, top trainer esperto di comunicazione e leadership. Con lui avevamo già parlato tanto della
leadership berlusconiana quanto del
berlusconismo in salsa renziana.
Questa volta, però, abbiamo affrontato il problema da un’angolazione un po’ diversa. Abbiamo eliminato ogni schermo e abbiamo considerato la politica come un fenomeno di marketing puro. Anzi, siamo andati oltre guardando anche ad altri leader in campo economico e finanziario. Il dato principale è che la leadership politica (qualunque leadership), così come un brand molto forte, crea un sistema valoriale: una scala di valori che aiutano a integrarsi meglio nella realtà, a interpretarla serenamente. La leadership rassicura l’elettore, l’azionista, lo stakeholder.
Quello che sorprende, però, è che questo universo difficilmente può essere messo in crisi dall’interno. Per chi segue la cronaca politica non è raro imbattersi nelle fronde intestine dei partiti (scontenti, malpancisti e così via) la cui rilevanza viene spesso ingigantita dai media a tal punto da farne dei veri e propri antagonisti dei leader. Ebbene, il fronte interno non può demolire la leadership, tutt’al più le fa perdere del tempo prezioso.
La leadership può, però, essere messa in crisi dall’esterno attraverso la produzione di un nuovo sistema di valori che si contrapponga a quello originario e che ne mini le basi. Gli «eco-fanatici», che si battono contro i tensioattivi e che utilizzano detersivi biologici «a ricarica» (in modo da non inquinare con flaconi e fustini), alla fine hanno fatto dei proseliti. Anche la furia nichilista di Beppe Grillo ha convinto un quarto degli italiani a votare per il Movimento 5 Stelle.
Restano, però, sempre gli affezionati ai brand tradizionali, convinti dalla leadership del loro prodotto (tensioattivo o no) e su questa consumer base si gioca la sfida. E un primo responso c’è già: Berlusconi e Renzi lavano più bianco. Alfano e Letta, invece, no.
Dottor Rossi, la leadership è come la brand awareness? Cioè il riformismo renziano lava più bianco di quello berlusconiano?
«Possiamo affermare che gli elettori si riconoscono più nei leader politici che nei partiti e nella loro ideologia. Questa personificazione della politica porta quindi a considerare il leader come un “brand” che rappresenta il prodotto da valorizzare per far convergere il consenso».
I 90 milioni di voti che il Cav ha preso in 20 anni quanto misurano la leadership se poi questa viene messa in discussione da alleati rissosi?
«Berlusconi fonda la propria leaderhip sul Carisma. Gli attacchi alla sua persona rischiano di indebolire la leadership molto di più che la litigiosità all’interno del movimento di cui è a capo».
Non vale lo stesso per Renzi?
«Per Renzi vale lo stesso principio. La consapevolezza di Renzi di essere un brand è evidente dal fatto che rappresenta il suo cognome con un logo. Per la prima volta nella storia della politica italiana un leader di partito si rappresenta con un marchio come se fosse un prodotto in vendita al supermercato».
E Grillo cos’è? Una private label nel supermarket della politica?
«Grillo vuole essere percepito come un brand diverso e ben distinto dagli altri. La sua comunicazione forte e il fatto di non voler partecipare alle trasmissioni politiche sono coerenti con questa volontà».
In tutti i sondaggi (e non solo) la gente ha il lavoro come chiodo fisso. Come si potranno vendere prodotti come Alfano e Letta che hanno fatto della stabilità l’unico claim?
«Alfano e Letta comunicano stabilità e buon senso che non bastano per essere definiti dei leader».
In tutte queste domande la leadership forse è interpretata come funzione della capacità di marketing del personaggio pubblico? Ma un leader cosa deve fare oltre a sapersi vendere?
«Un leader è un riferimento, una guida a cui le persone si affidano per essere condotte in un futuro migliore. Deve avere capacità di Vision facendo vedere e toccare come sarà il Paese tra 5 o 10 anni, deve avere dei Valori nei quali si riconosce ed è integro. Deve avere delle capacità realizzative straordinarie per trasformare la Vision in realtà».
E quanto la leadership è funzione di una rottura, di un salto, di una cesura: perché ci si ricorda di Berlusconi, Renzi e Marchionne? Perché Diego Della Valle? Perché Lapo Elkann? Perché Joe Bastianich?
«Le persone che sta nominando sono tutte persone che hanno dimostrato di avere doti realizzative straordinarie, personalità forti e e grandi capacità comunicative. Inoltre sono persone che sono state in grado di interpretare al meglio il presente che stavano vivendo e i cambiamenti in atto creando una discontinuità e innovando».
O forse è anche leader chi è più tranquillo, almeno in apparenza? Come l’Avvocato e Luca di Montezemolo? Ma allora perché i banchieri che generalmente sono conservatori non fanno breccia in positivo nell’opinione pubblica?
«Non sempre infatti per essere dei leader bisogna “fare rumore”. L’Avvocato appariva poco ma si faceva sentire parecchio, aveva uno stile che ancora adesso sta facendo scuola. Luca di Montezemolo ha avuto risultati straordinari con la Ferrari e la capacità di scegliere Marchionne per la guida della rinascita della Fiat. I banchieri non fanno breccia perché rappresentano un mondo in grandissima crisi valoriale e senza valori non si può essere dei leader».
Wall & Street
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