Venerdì 30 gennaio sportelli chiusi: è stato, infatti, indetto un nuovo sciopero generale dei 309mila bancari italiani. L’iniziativa, il cui annuncio era atteso da fine novembre dopo la rottura delle trattative con l’Abi sul rinnovo del contratto, è stata lanciata con un hashtag «#sonobancario al servizio del Paese».

Oltre all’astensione dal lavoro sono previste quattro grandi manifestazioni: a Milano, Ravenna (sede della Cassa di Risparmio presieduta dal numero uno dell’Abi Antonio Patuelli), Roma e Palermo. Le organizzazioni sindacali di categoria Fabi, Fiba Cisl, Fisac Cgil, Uilca, Dircredito, Ugl Credito, Sinfub e Unisin protestano inoltre «contro la decisione unilaterale di Abi di dare disdetta e successiva disapplicazione dei contratti collettivi di lavoro dal primo aprile del 2015».

«Scioperiamo e manifestiamo contro un’inconcepibile chiusura, intellettuale e politica, delle banche rispetto ai diritti dei lavoratori, in difesa dell’occupazione e per ottenere nuove assunzioni destinate ai giovani». A dichiararlo è Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi. «Scioperiamo e manifestiamo per recuperare quegli aumenti economici legati all’inflazione, per avere un contratto collettivo a tutela dell’intera categoria, contro la volontà politica delle banche di sostituire la nostra contrattazione nazionale con i contratti aziendali e di gruppo», ha aggiunto rimarcando i due punti fondanti della protesta sindacale: da una parte un’offerta ritenuta troppo bassa (1,85% di recupero dell’inflazione su base triennale a fronte del 6% circa richiesto) e forte limitazione della contrattazione di secondo livello. «Scioperiamo e manifestiamo per un nuovo modello di banca che difenda l’occupazione, aumenti i ricavi, garantisca famiglie e imprese tutelando la qualità della vita e la professionalità delle lavoratrici e dei lavoratori bancari», ha concluso.

Oltre la questione meramente economica, c’è un altro fronte aperto tra i rappresentanti dei bancari e il Comitato Affari sindacali e del Lavoro (Casl) dell’Abi guidato dal presidente di Mps, Alessandro Profumo. Si tratta delle nuove esternalizzazioni (cioè la cessione di rami d’azienda con conseguente trasferimento dei dipendenti ad altra società; ndr) che probabilmente ci saranno una volta che, terminati gli aumenti di capitale imposti dalla Bce a Monte dei Paschi e Carige, ripartiranno le aggregazioni. Un dipendente esternalizzato molto spesso perde lo status di dipendente bancario: per questo motivo la piattaforma sindacale prevede una proposta anche sul modello di business auspicando la creazione di consorzi tra banche per governare insieme le funzioni che quasi sempre vengono dismesse, come la gestione dei crediti. Si tratta di un passo in avanti non indifferente rispetto a una prassi sindacale che generalmente si esplica nell’esercizio di un veto.

Il punto dolente, però, è la scarsa redditività delle banche italiane che si trovano a dover far fronte a un eccesso di filiali (nonostante le chiusure degli ultimi anni ne sono rimaste oltre 30mila) e a un costo medio del lavoro più elevato rispetto a quello dei principali competitor europei. Un punto, quest’ultimo, sul quale vi sono profonde divisioni. Il sindacato, infatti, rinfaccia alla dirigenza di essere particolarmente «costosa» e di incidere negativamente sulle performance visto che un bancario neoassunto, il cosiddetto «sportellista», oramai percepisce 1.200-1.300 euro al mese.

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