Il giustizialismo di Grillo
Pubblichiamo un intervento di Vito Plantamura, professore associato di diritto penale presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bari. Si tratta di un punto di vista eterodosso rispetto ad alcuni commenti pubblicati negli ultimi giorni. Il fondatore e garante del Movimento 5 Stelle non ha rinnegato il giustizialismo che ha da sempre connotato la sua azione politica ma, difendendo il proprio figlio, ha elevato all’ennesima potenza l’elemento costitutivo della propria identità.
«Secondo un’opinione diffusa, Beppe Grillo col suo video in difesa del figlio Ciro, indagato, assieme ad altri suoi tre amici, per il reato di violenza sessuale di gruppo, avrebbe dato prova di una doppia morale, e cioè di un garantismo riservato solo alle persone a lui più care, che risulterebbe in contrasto col giustizialismo che lo ha sempre caratterizzato nei confronti di tutti gli altri. Ad una più attenta analisi, tuttavia, risulta che l’impostazione di Grillo nel video in questione rimane sempre la medesima, caratterizzandosi per giustizialismo, manicheismo e cultura del sospetto. Il primo e principale argomento difensivo espresso a favore del figlio, infatti, è costituito dall’assunto per cui, visto che c’è una legge in virtù della quale gli stupratori devono essere subito arrestati e messi in carcere, dato che gli inquirenti non hanno fin qui richiesto misure cautelari, significa che loro stessi non sono convinti degli indizi a carico degli indagati. Fortunatamente, però, una legge del genere non esiste, e non potrebbe mai esistere, nel nostro ordinamento. Grillo, cioè, deduce la necessità di una misura cautelare personale dalla gravità del reato contestato. Nella sua mente, quindi, la presunzione di innocenza di cui all’art. 27 Cost., per cui non si è considerati colpevoli sino alla condanna definitiva, semplicemente non esiste. Mentre è proprio in virtù di quella presunzione che le misure cautelari personali rimangono – o, per lo meno, dovrebbero rimanere – l’eccezione, e comunque non sono applicabili, anche riguardo al più grave dei reati e in presenza del quadro indiziario più completo, in assenza di specifiche e tassative esigenze cautelari. Mentre davvero non si comprende perché, in relazione ad un fatto assolutamente episodico –per quanto gravissimo, se integrato/commesso da quattro incensurati, tali esigenze dovrebbero ritenersi sussistenti. Ma veniamo al secondo argomento difensivo del video, espressivo di manicheismo, secondo la netta contrapposizione, ad es., tra onesti e corrotti, tipicamente grillina. Notoriamente, infatti, per Grillo la realtà è in bianco e nero. Per cui o c’è lo stupratore che, con violenza, costringe la donna al rapporto sessuale oppure c’è il rapporto sessuale consenziente, penalmente irrilevante. Ma per il nostro codice penale così non è. E così non era neppure prima della pessima legge di riforma della materia del 1996. In Italia, infatti – come in altri Paesi europei: ad es., Spagna, Germania e Portogallo -, si prevede, e si prevedeva già nel codice penale ottocentesco, pure la punizione di chi induca un soggetto a compiere atti sessuali abusando della sua condizione di inferiorità psico-fisica, che non lo rende capace di resistere alle iniziative sessuali altrui. Un caso paradigmatico è quello della persona ubriaca o drogata indotta ad avere rapporti sessuali che, in altre circostanze, avrebbe rifiutato. Il rapporto è sì consensuale, ma il consenso è viziato, per cui il reato sussiste. Significa, però, che la realtà non è in bianco e nero, ma sfumata. Certo, sarebbe meglio se, per le ipotesi di rapporti sessuali indotti in situazioni asimmetriche, ad una diversa sfumatura fattuale corrispondesse una pena meno severa*. Il terzo argomento difensivo del video è quello relativo alla pretesa tardività della denuncia. E qui emerge un altro tratto saliente dell’impostazione di Grillo, legato alla cultura del sospetto. Gli otto giorni passati prima di denunciare farebbero pensare, cioè – o meglio sospettare -, che qualcosa non torni. E non rileva che il termine ordinario per presentare querela sia di tre mesi, né che, per ragioni intuitive, in un reato come la violenza sessuale tale termine sia più lungo; ed anzi sia stato di recente innalzato addirittura ad un anno. Perché ormai il sospetto di strumentalità e insincerità della querelante è stato instillato. In definitiva, nel politicamente controverso, se pur umanamente comprensibile, video in difesa di suo figlio, Grillo rimane Grillo: non diventa garantista, non muta mentalità, ma si rifà al suo solito bagaglio argomentativo fatto di giustizialismo, manicheismo e cultura del sospetto, che tanto ha contribuito all’affermazione elettorale del movimento politico da lui creato».
Wall & Street
*La legge 66/1996. ha unificato la congiunzione carnale violenta e gli atti di libidine, previsti dalla normativa previgente, nella nozione unitaria di atti sessuali, collocando detti reati tra i delitti contro la persona invece che tra quelli contro la moralità pubblica ed il buon costume. La sfera sessuale quindi diventa diritto della persona di gestire liberamente la propria sessualità, con la conseguenza che la condotta rilevante penalmente va valutata in relazione al rispetto dovuto alla persona ed all’attitudine ad offendere la libertà di determinazione della stessa. In base alla sentenza della III Sezione Penale della Corte di Cassazione 37395/2004, è atto sessuale «qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, ovvero in un coinvolgimento della corporeità sessuale di quest’ultimo, sia idoneo e finalizzato a porre in pericolo la libera autodeterminazione della sfera sessuale». La giurisprudenza, pertanto, tende ad applicare pene severe anche a condotte che all’opinione pubblica potrebbero non apparire penalmente rilevanti, sebbene moralmente censurabili. Secondo Vito Plantamura, «quella del 1996 è davvero una pessima legge, che punisce sotto la stessa rubrica lo stupro e il bacio rubato sul collo – e, in questo, risulta più unica che rara nel panorama internazionale – dimostrandosi priva del buon senso giuridico necessario per punire meno gravemente la violenza sessuale per induzione rispetto a quella per costrizione».