Pubblichiamo un personale ricordo di Luigi Einaudi  – nel sessantesimo anniversario della scomparsa – redatto dal professor Francesco Forte.

«Il 30 ottobre del 1961, 60 anni fa moriva Luigi Einaudi. La notizia mi giunse mentre aprivo una sua lettera, in cui mi comunicava che la mia chiamata di successore, nella cattedra nell’Università di Torino era stata votata all’unanimità. Poiché si sentiva poco bene la sua relazione era stata scarna. Me ne chiedeva venia. Nel febbraio del 1961 nella telefonata in cui mi si annunciava che ero stato  scelto da Einaudi come suo successore, mi si informava che la delibera sarebbe stata posticipata all’autunno, perché l’estate a Torino, per lui, era troppo calda e lui voleva essere il relatore.  Nel frattempo, Einaudi desiderava incontrarmi a Roma. Io ero da poco rientrato in Italia dagli USA con mia moglie Carmen, incinta. Avevo 31 anni e Carmen 29. Da due anni accademici risiedevamo negli Usa, ove insegnavo come professore associato all’Università di Virginia. Avevamo accolto con grande gioia la notizia che Einaudi mi aveva scelto come suo successore.  Egli mi ricevette a Roma, in estate, nella villetta a due piani con giardino, in una zona verde, distante dal centro. La signora Ida, la gentildonna moglie di Einaudi, che controllava le giornate del marito, onde non si affaticasse, aveva stabilito che l’incontro sarebbe durato un’ora. Einaudi per darmi il “benvenuto” mi ricevette, in piedi, appoggiato al bastone, sulla soglia del giardino. Sorridendo mi disse: “Sono un mostro di 87 anni”. Poi si sedette su una poltrona, a fianco della porta, nel verde. Il primo dovere a cui avrei dovuto adempiere, era di risiedere a Torino con la mia famiglia. Non dovevo fare la spola da altre città, come spesso fanno i professori. La residenza della famiglia a Torino mi era richiesta anche perché dovevo dirigere il Laboratorio di economia politica in cui la presenza del direttore è necessaria anche nelle giornate in cui egli non insegna, ma coordina le ricerche e le riunioni.  Nelle mie lezioni io non avrei dovuto usare il suo libro di testo di scienza delle finanze. Non era riuscito a fare un’opera sistematica. Ci aveva supplito con saggi e libri su singoli temi (a me venivano in mente soprattutto i Miti e Paradossi della Giustizia tributaria, il volumetto sull’Unione europea, le Lezioni di politica Sociale, le Prediche inutili) . A me il compito di fare un manuale sistematico. Poi aggiunse che alcuni suoi colleghi avevano obbiettato alla sua scelta del successore, che io non ero un puro studioso, facevo anche il giornalista. Einaudi disse che, per lui, quello non era un difetto, Lui aveva fatto il giornalista, sin dall’inizio della sua carriera., come me. E continuava a farlo, con gli articoli domenicali nel Corriere della Sera, intitolati Prediche della domenica.  Facendo il giornalista, il professore dà alle teorie un’applicazione pratica, comprensibile alla gente comune, come le prediche del parroco. Mi venivano in mente due “Prediche della domenica” del gennaio, che avevo letto sul Corriere quando ero in America, che riguardano la città brutta e la città bella.  La città brutta è fatta di casermoni, in cui vivono individui che non formano una comunità perché ci sono imposte patrimoniali sull’edilizia, che rincarano i centri abitati e mancano strade e piazze in cui ritrovarsi. Invece nella città bella, ove le tasse sulle case sono moderate e ci sono buoni servizi, c’è una comunità. di persone. Donna Ida  mi disse che l’ora era terminata. Poi la lettera breve, del 30 ottobre  per riaprire il dialogo che io da allora continuo, con Einaudi».

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