Pubblichiamo volentieri una breve riflessione di Fabrizio Amadori, esperto di comunicazione, sul rapporto fra liberalismo e scienza nell’età contemporanea. Il liberalismo – è la tesi di fondo – è un atteggiamento scientifico e, pertanto, etico, dunque non si può confinarlo all’ambito meramente economico.

«Non credo che sia facile definire in generale cosa sia “un vero liberale” perché è la cultura liberale che mi sembra sfuggente. Secondo me, la sua natura si potrebbe accostare a quella della scienza, che è ipotetica, non assertiva. È la scienza stessa che è aperta al nuovo, lo agogna, è alla continua ricerca di qualcosa che la cambi, e cambiandola la migliori (almeno, questa è la sua speranza). Non esistono verità scientifiche, ma ipotesi, modelli.

Ecco perché la cultura scientifica “matura” (non lo scientismo, insomma) potrebbe addirittura rappresentare, nel suo ambito, qualcosa di analogo alla cultura liberale intesa nel modo seguente. E cioè, come un fenomeno aperto per sua natura alla novità, chiamato, però, a fare i conti con l’esistente per non sembrare totalmente arbitrario. Ovviamente, certe volte la scienza ha conosciuto dei punti di vera e propria rottura (Galileo docet), la cui natura, però, andrebbe analizzata. Sulla natura della scienza, poi, esistono teorie diverse, ma io seguirei la definizione generale data sopra a proposito della cultura liberale. Di conseguenza, a mio avviso, se non possono essere la tradizione e i costumi a stabilire cosa debba fare una persona, non lo può essere neppure la scienza. Ad esempio, io ritengo che non sia salubre per una donna musulmana, complice anche quanto dice la scienza (eventualmente e momentaneamente), stare imbacuccata quando fa caldo. Ma come faccio a capire se sia una decisione sua o imposta? E se è sua nello stato attuale, quanto questo stato è dovuto ad un passato di condizionamenti? Quanto la persona stessa riesce a capire che difendere la sua libertà di scelta di oggi fa a pugni con la libertà che, nella più tenera età, le è stata almeno in parte sottratta per abituarla ad una situazione discutibile da un punto di vista igienico-sanitario come imbacuccarsi con un burqa? Se io ed altri pensassimo che la scienza debba prevalere sui costumi (in nome di una verità che, in realtà, non ha), le si dovrebbe imporre di togliersi il burqa, qualora si trovasse in Occidente. Per fortuna, questo non succede. Se succede è piuttosto per via della tradizione degli stranieri tra i quali, ad un certo punto, lei da immigrata (se lo è) si è trovata a vivere, tradizione di cui molti parlano ad ogni piè sospinto per difenderla (almeno in parte a ragione, ma solo in parte. E non credo che qualcuno di buon senso intenda comportarsi diversamente).

Di solito è la tradizione, non la scienza, la nemica della libertà altrui. E se qualcuno interpreta la scienza come una mazza da usare nei confronti degli altri, ebbene, di certo non è la mia interpretazione della scienza (ambito, peraltro, che a propria volta andrebbe definito meglio, in quanto sfuggente esso stesso, come la cultura liberale – e come ogni cosa, a pensarci bene, a causa della natura dell’uomo -). Ed insomma, a me pare che la scienza sia un elemento più neutro della tradizione, e quindi meno pericoloso. Del resto, mi chiedo se la tradizione non faccia rima con nazione o regione, e quindi con qualcosa che comunque pone una identità che differenzia, talvolta contrappone, chi la coltiva a soggetti proveniente da un altrove. Ecco, di certo la scienza non fa questo.

Del resto, non è la tradizione stessa che nasce da una imposizione, ossia da una educazione sin dalla più tenera età? Il caso delle donne col burqa è un estremo per dire che tutti siamo figli almeno in parte dell’imposizione culturale, della cosiddetta educazione, e che la tradizione, a partire da quella religiosa, ne è una conseguenza. In tal senso, considerata la forza della tradizione che evidentemente non si può (né intendo io) sradicare completamente, saluto come una boccata d’aria tutto ciò che vada in controtendenza, nel rispetto, ovviamente, del vivere comune, che però va ripensato almeno un po’.

Nella scienza la controtendenza è insita nel suo processo, nel senso che le idee nuove anche se, e direi soprattutto se, mettono in crisi le vecchie, sono le benvenute. Possono trovare qualche resistenza, ma alla fine portano a festeggiare tutta la comunità scientifica, se dimostrate “corrette”. È quello che è successo – prendo un esempio macro – con Einstein rispetto a Newton, di cui il tedesco aveva cambiato tutte le premesse fondamentali, a partire dai concetti di spazio e di tempo. Una rivoluzione salutata come un’epifania.
I difensori della tradizione farebbero lo stesso se qualcuno mostrasse qualcosa che li mettesse in crisi? I difensori della morale, i conservatori di destra e di sinistra, non darebbero neppure la possibilità a chi la pensa diversamente di esprimersi.

L’uomo non è incasellabile sino in fondo in nessuna cultura, rappresentando egli una variabile unica. Ma tale discorso, mi pare, ci porterebbe lontano dai totalitarismi e vicino, invece, alla cultura liberale che mi piace difendere. Forse è la cultura liberale che può diventare parametro di misura di ogni sensibilità politica? Non è essa, del resto, che più delle altre è capace di accoglierle in una società che sia guidata, però, dalla stella polare che essa rappresenta?

Infatti, la cultura liberale non si sta mostrando da tempo una vera e propria metacultura politica più di altre, e in tal senso dotata di una qualità che alle altre manca? E’ una domanda, e comunque un tema su cui vorrei riflettere. Quando un sistema liberale accetta che in Parlamento esista un partito che si definisce comunista vorrà pur dimostrare qualcosa, o no? Del resto, se quel partito è accettato in Parlamento, ha evidentemente attinto qualcosa da quella cultura liberale da cui dice di distinguersi. In tal senso, si può giustamente parlare di metacultura liberale».

Fabrizio Amadori

 

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