L’Ansa ha divulgato uno studio appena pubblicato su Jama: gli Omega 3 – categoria di acidi grassi essenziali presenti nei pesci, nelle alghe e in alcuni semi oleosi – se assunti come integratori non aiuterebbero gli anziani a contrastare le malattie degenerative del cervello e del cuore. Il contrario di quello che pareva un dato assodato, avvalorato da decine di lavori scientifici. E cioè che un corretto equilibrio tra acidi grassi Omega 3 e Omega 6 è fondamentale per regolarizzare il colesterolo e contrastare demenza senile e Alzheimer.

Abbiamo conosciuto le storie dei giapponesi di Okinawa, fra i più longevi al mondo, grazie agli studi segnalatici da Giovanni Scapagnini, neurobiologo e biochimico: “Questa popolazione è longeva e sana per via dell’alimentazione povera, basata soprattutto su alghe ricche di Omega 3”.

Abbiamo saputo che gli Hinuit (residenti sopra al circolo polare artico), pur mangiando costantemente prodotti animali, hanno una bassissima incidenza di malattie cardiovascolari, quasi nulla, rispetto ai loro simili che non consumano abbondantemente Omega 3.

Ma ora le certezze crollano. Scienza contro scienza. Non sarebbe la prima volta e non sarà nemmeno l’ultima. Quando la buona fede sostiene il dibattito scientifico c’è solo da imparare.

Cosa afferma lo studio di Jama? Conclude dicendo che gli Omega 3 assimilati con la dieta fanno bene ma quando vengono assunti tramite integratori non hanno alcun effetto, sono placebo. Lo scopo del lavoro era quello di testare se alcuni antiossidanti (zinco, vitamina C, vitamina E e betacarotene) sono efficaci nel contrastare una malattia dell’occhio, la maculopatia degenerativa.

Ma a un certo punto dell’osservazione, durata sei anni, si è deciso di inserire anche gli Omega 3: come sono riusciti i ricercatori a capire gli effetti delle varie sostanze? Nessuno lo spiega.

Leggiamo il commento critico di Attilio Speciani, immunologo e autore del sito Eurosalus che si interroga sul senso di queste acrobazie…tra-vestite di scienza. Scrive Speciani:

Inaspettatamente, al disegno sperimentale relativo all’occhio, si è associata la somministrazione in un gruppo di partecipanti anche di Omega 3 e si è richiesto che oltre a valutare la condizione dell’occhio, si valutasse anche lo sviluppo di demenza o di deficit cognitivi, attraverso indagini telefoniche sui pazienti dei diversi gruppi.

Un po’ come se a un idraulico si chiedesse anche di valutare a distanza le linee telefoniche, perché passano “lì vicino“.

Ma questa non è l’unica incongruenza del lavoro.

A tutti i partecipanti sono state somministrate integrazioni di antiossidanti, a base di zinco, vitamina E, betacarotene, e vitamina C. Tutti erano quindi comunque sostenuti da una azione antiossidante utile al controllo del deficit cognitivo, e in un lavoro di questo tipo, durato 6 anni, è difficilissimo capire quale sostanza abbia agito come antiossidante o protettiva e quale invece non lo abbia fatto.

Non solo. Guardate come è avvenuto il reclutamento dei pazienti: è entrato nel trial soltanto chi è stato in grado di completare alcuni test cognitivi.

“In uno studio che serve per valutare se gli Omega 3 aiutano a rallentare la demenza senile, quelli che manifestano dei segni di demenza vengono esclusi dal lavoro” fa notare Speciani.

“Così alla fine non c’è differenza tra quelli che prendono o non prendono Omega 3 e le conclusioni del lavoro possono essere descritte in questo modo. Nel totale rispetto del procedimento scientifico e nel rifiuto del buon senso”.

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