Il Jobs Act di Matteo Renzi promette di ritornare come un boomerang sul naso dei giovani italiani alla ricerca di lavoro così come la legge Fornero ha distrutto (economicamente ed emotivamente) decine di migliaia di esodati, intrappolandoli nella zona di nessuno compresa tra lo stipendio e la pensione. Nel caso del Jobs Act dell’ex sindaco di Firenze il danno è sotto gli occhi di tutti:  il ministro “rosso-coop” del lavoro Giuliano Poletti, annunciando il terzo decreto attuativo, ha ribadito come il governo voglia irrigidire ulteriormente, per di più proprio rispetto alla già disastrosa legge Fornero, i modi flessibili di entrare nel mercato del lavoro. Nel 2013, infatti, il ricorso ai co.co.pro. è calato del 22% proprio a causa della maggiore difficoltà a usare questo strumento: è necessario, infatti, specificare un progetto ben preciso e collegarlo a un risultato effettivo. Adesso il ministero sta ripensando la struttura delle collaborazioni coordinate e continuative e vorrebbe cancellare delle associazioni in partecipazioni. L’unica nota positiva è che si va verso una semplificazione (per ora teorica) dell’apprendistato.

Peccato che senza flessibilità le piccole e medie imprese non assumeranno mai. Basta chiederlo ai piccoli artigiani che hanno iniziato a faticare al tornio o alla conceria appena finita la scuola dell’obbligo e ora provano mal di pancia davanti ai neologismi anglofoni sotto cui Renzi ammanta riforme zoppe e quindi inefficaci come quella del lavoro.

E i primi a pagare sono proprio i lavoratori stagionali cui il decreto Poletti dell’anno scorso (la prima parte del Jobs Act) aveva tagliato le possibilità di proroga da 8 a 5. Ora si va in direzione di un ulteriore inasprimento.

Il primo a denunciarlo è stato ieri il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi (Ap): «La sinistra persevera nell’errore di attribuire la precarietà del lavoro alle tipologie contrattuali che spesso al contrario sono il modo con cui dare regolarità a lavori sommersi o incoraggiare attività che altrimenti non si produrrebbero». Insomma «una cosa sono i doverosi controlli ispettivi sulle collaborazioni a progetto, sul lavoro intermittente, sulle false partite Iva, altra cosa è la loro eliminazione che per molti non determinerebbe trasferimento su altri contratti. Saremo quindi molto determinati ad evitare ulteriori disincentivi all’occupazione in un tempo nel quale dobbiamo all’opposto incoraggiare i datori di lavoro ad assumere».

Wall & Street

 

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