Perfetti (e non più) sconosciuti. La corsa di Genovese non si arresta
“Ho visto un film bellissimo, l’altra sera. Perfetti sconosciuti. Ho riso come una pazza”. “Ma sei già andato a vedere Perfetti Sconosciuti? Non pensavo fosse così bello”. E via dicendo. Ormai, non passa giorno senza che amici, conoscenti o lettori condividano con me la gioia per aver visto Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese. In un certo senso, mi sento doppiamente felice, prima di tutto per avere una pellicola finalmente da consigliare, e poi per essere stato il primo a parlarne, in tempi non sospetti (il film non era ancora nelle sale), sul Giornale. Bisognava avere le fette di salame sugli occhi, del resto, per non innamorarsi di una pellicola tecnicamente perfetta, retta su una delle più belle sceneggiature di sempre, recitata in maniera divina, comica e drammatica allo stesso tempo, brillante e agrodolce. Dall’idea apparentemente semplice, quanto geniale (non ci aveva mai pensato nessuno), giocando sul telefonino, scatola nera dei nostri segreti. Sette amici, pongono il loro cellulare sul tavolo per tutta la durata di una cena, con l’impegno di leggere, a tutti, ogni messaggio arrivato e di mettere in vivavoce, all’insaputa dell’interlocutore, le chiamate ricevute. Una roulette russa tecnologica che, ovviamente, scatenerà liti e scoperchierà sepolcri. Trovata dopo trovata, Genovese porta lo spettatore al culmine della risata (una telefonata a cui risponde Mastrandrea), salvo declinare, da quel momento, in una svolta drammatica. Due film in uno, altrettanto indimenticabili. Con finale spiazzante. Gli incassi? Siamo già a 14.830.183 euro, più di quanto ha messo in cassa il film (ingiustamente) premio Oscar come miglior attore, Revenant. Tiriamo fuori un po’ di italico orgoglio per aver realizzato, nel nostro paese, una pellicola così sopra la media, geniale, fantasiosa, tanto che se la stanno contendendo, all’estero, per farne un remake. Per una volta, l’erba più verde non è quella del vicino.