The-Hateful-Eight-Movie-Poster«La durata di un film dovrebbe essere direttamente commisurata alla capacità di resistenza della vescica umana». Una sacrosanta verità sancita, qualche anno fa, non da uno spettatore incontinente, ma da un regista che ha fatto la storia del cinema come Alfred Hitchcock.  Uno che ha dimostrato, nella sua carriera, che per fare un grande film non serva necessariamente inchiodare in sala un povero diavolo per quasi tre ore della sua vita. Ormai, per andare a vedere certe pellicole serve la Protezione Civile, con i volontari che soccorrono, con beni di conforto, i poveri paganti bloccati sulla poltrona, tra trailers, pubblicità e proiezione, per parecchi giri di orologio. “Eh, si sa, l’arte ha bisogno di esprimersi”. Certo, ma a parte che lo spettatore non è cretino, si può arrivare allo scopo anche accorciando i temi. Erano, ad esempio, tutti necessari i 156 minuti di Revenant? O i 187 minuti, la maggior parte ambientati all’interno di una merceria, di The Hateful Eight? James Bond sarebbe stato meno 007 senza tutti i 150 minuti di Spectre? E sono solo tre esempi più o meno recenti. Una volta, bene o male, con i film che duravano i canonici novanta minuti, sapevi che iniziavano quasi sempre alla stessa ora. Primo spettacolo alle 15 e poi, di solito, 17.30, 20 e chiusura alle 22.30. Ora, invece, per incastrare le varie proiezioni, gli esercenti delle sale devono cimentarsi in alchemiche programmazioni per consentire allo spettatore di non rientrare a casa dopo la una di notte. E noi critici spesso costretti a sottolineare come il film, con una quindicina di minuti in meno, sarebbe stato perfetto. Certo, se vuoi vincere la statuetta più importante, come ha dimostrato il critico cinematografico americano Peter Travers, devi inchiodare lo spettatore in sala ben oltre le due ore. In pratica, delle pizze da Oscar.