Se lo sperma è sinonimo di comicità
Esce oggi, nei cinema italiani, il nuovo film di Sacha Baron Cohen, il comico britannico diventato famoso, dieci anni fa, con Borat. Da allora, è stato tutto un crescendo nel cercare di mantenere fede alla sua fama di artista “scorretto”, dalla comicità irriverente, surreale, volgare. Però, con Grismby penso si sia toccato un livello dal quale potrebbe essere difficile tornare indietro, una sorta di liberi tutti del trash e della volgarità. Se passa questo concetto di comicità, allora non oso pensare cosa accadrà in futuro. Per carità, non voglio limitare la libertà espressiva di un artista. Cohen ha un suo pubblico che vuole questo e solo questo da lui. Irriverenza, però, non sempre è sinonimo di successo e il flop sul mercato americano di questo film, mi fa pensare che forse anche tra i suoi seguaci qualcuno ci abbia ripensato. La pellicola, per capirsi di quello che stiamo parlando, racconta la storia di due fratelli. Sacha Baron Cohen è una sorta di hooligan, con 11 figli, ciabatte ai piedi e maglietta della nazionale inglese addosso, con fidanzata extra-large. Uno che vive di sussidi facendo spacciare uno dei suoi figli per malato di leucemia. L’altro, invece, (Mark Strong) è diventato addirittura il miglior agente segreto dei Black Ops inglesi. I due non si vedono da 28 anni, ma il ritorno in città li farà incontrare. Un abbraccio maldestro, infatti, provocherà una morte eccellente e l’accusa, per l’agente, di tradimento, con spietata caccia ai due. Dalla improbabile alleanza, nascono le gag, più o meno riuscite. E quindi, senza risparmiare nessuno, si prendono in giro i bimbi in carrozzella malati di AIDS, ebrei e palestinesi, Donald Trump e Daniel Radcliffe, che berranno sangue infetto, e molto di più. Doppi sensi ormai neanche tanto velati, penetrazioni anali (il mondo sarà salvato da un razzo finito nel loro posteriore), pizzetti di peli pubici, veleno da succhiare da un testicolo e via così fino ad una scena con degli elefanti dove l’irriverenza arriva al suo estremo. I due fratelli, infatti, per scappare a chi li vuole morti, si infilano nell’utero di un elefantessa e dovranno subire gli accoppiamenti di tutto il branco, agevolati dalle mani dei due, con relativa “innaffiata” in faccia, in pratica un “bukkake” elefantiaco. Un film che non conosce misura per la sola voglia di stupire, facendo perdere forse il gusto per alcune trovate certamente divertenti e sopra la media di quello che circola. Il problema, però, se tale lo si deve considerare, sono questi eccessi. Se passa questo, allora cosa accadrà la prossima volta? E pensare che oggi un illustre critico italiano ha scritto, nella sua recensione “il Sasha meno sgradevole del solito”. E cosa doveva fare di più? Far accoppiare un vescovo con dei cavalli?