Facebook e la censura
Perché Facebook censura il Cupido di Caravaggio? Per quel minuscolo membro maschile? Può darsi. Niente di grave anche perché la questione sembra essersi risolta nel giro di una decina di minuti.
Rimane tuttavia un retrogusto amaro per una vicenda non unica nel suo genere perché ormai si susseguono con una certa frequenza censori pronti a bacchettarci su ogni argomento. Magari si tratterà di eccesso di zelo da parte di un oscuro impiegato addestrato per bacchettare i frequentatori del turpiloquio più greve, gli habitué della dichiarazione improvvida, della frase razzista, gli stolti in vena di raccattare in modo ignominioso i suoi 15minuti di popolarità. Oppure sarà un asettico software che agisce in maniera autonoma anche se preliminarmente saturato da qualche brillante intelligenza umana orgogliosa di imporre input ‘moralistici’.
Ora, fatte salve le scempiaggini e le idiozie che si leggono e si vedono in rete e su cui non si dovrebbe produrre la minima tolleranza ma anzi colpire i soggetti in questione andandoli a prelevare casa per casa, non si concepisce al contempo questa autoproclamata ‘superiorità morale’ di Facebook e soprattutto l’idea che vi siano tutta una serie di temi o foto non pubblicabili.
Non ci avviamo forse verso quella famosa ‘società aperta’ tanto decantata dai liberali duri e puri? Non ci avevano detto che, pur nel rispetto delle leggi, questa sarebbe stata una civiltà libera da ideologie di vario tipo e da freni.
E invece no! Ora scopriamo che spogli di ogni valore tradizionale come la famiglia, lo Stato nazionale, la comunità, veniamo però dotati di una nuova Idea la cui eventuale legittimazione passa anche per gli accorgimenti moralistici internettiani.
Perché quel Caravaggio censurato potrà anche essere una semplice svista di un burocrate zelante o una imperdonabile cantonata da parte del creatore del software ma dietro c’è qualcosa in più. C’è il totalitarismo liberale che ha provveduto ad esautorare l’egemonia della dialettica culturale e politica. C’è il principio che tutto si possa fare e dire ma solo se rientri in canoni prestabiliti dal fanatismo dell’economia e da quella cosa melmosa che è l’umanità planetaria.