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Nella stessa giornata, come una sorta di valanga dalle ciclopiche dimensioni, la stampa butta in pasto del cittadino globale tre notizie che paiono slegate le une dalle altre. In realtà, tappe di un medesimo percorso i cui sviluppi futuri, con poco sforzo di fantasia, già possiamo prefigurare.

La prima, forse la più importante, è quella del piccolo Charlie, 10 mesi, affetto da una malattia genetica degenerativa e incurabile di cui si conoscono solo altri 16 casi in tutto il mondo. La scienza medica non ha trovato soluzioni e solo le macchine lo mantengono in vita. I genitori hanno però ripetutamente chiesto di poter andare negli Usa dove starebbero tentando sperimentazioni su casi simili. Tribunali inglesi ed europei hanno tuttavia negato loro questa richiesta, respingendo ogni singolo ricorso. Ora si attende la disattivazione dei sistemi per tenerlo in vita artificialmente e che si addormenti per sempre.

Ho letto senza preclusioni di sorta le motivazioni addotte dai sostenitori di entrambi i campi. Tuttavia ritengo a questo punto sufficiente leggere con animo libero solo il prologo e l’epilogo della intera vicenda che mi sembrano confluire nelle strettoie dello stesso imbuto: tribunali e scienza medica stanno decidendo al posto dei genitori. Eppure dovrebbe valere il contrario. Ognuno di noi – come pure si sta facendo in queste ore – non dovrebbe attenersi unicamente a sentenze e decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo o alle leggi del proprio Paese. Io stesso, sul tema del fine vita, non ho certezze di alcun tipo e non so come avrei agito nella medesima situazione. Perché qui lo snodo è sulla libertà di due genitori che si trovano a combattere contro la pervasività del diritto: qui è in gioco la loro libertà di fronte alla quale ogni intromissione esterna è totalitarismo mascherato. Non importa come la pensiamo noi come collettività; non importa che il destino del piccolo sia segnato; importa cosa ne pensano e quali decisioni vogliano adottare un padre e una madre.

La seconda riguarda Cristiano Ronaldo, il supercampione del Real Madrid, diventato padre di due gemelli nati da una madre surrogata. Vale a dire da una ragazza che, consenziente, si è vista ‘sfilare’ i due pargoli al momento della nascita e che forse mai più vedrà. Il tutto in una logica da mercatismo da terzo millennio ben celato dalle copertine glamour che in questi mesi si avvicenderanno con dovizia di particolari e ce li mostreranno sorridenti in braccia a qualche tata e su qualche yacht al largo di Ibiza. Null’altro aggiungo.

La terza riguarda il via libera ai matrimoni gay in Germania. Argomento di minor conto ma che ha appassionato il dibattito pubblico nel nostro Paese per qualche anno diventando priorità sfiancante per la ossessività dei sostenitori e per il mastodontico apparato mediatico a sostegno. La tesi di chi giustamente li considera una forzatura è nota: i diritti tra persone dello stesso sesso che si amano posso essere tutelati in mille modi e non si capisce la protervia nel volerli parificare ai matrimoni tra uomo e donna. Non è questione di lana caprina. In quasi tutti i popoli e in tutte le epoche, sotto quasi tutte le religioni e le credenze, la famiglia è stata rappresentata sempre e solo dall’unione di un uomo e di una donna. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è anche un chiavistello per aprire molte altre porte.

Quale dunque il nesso tra queste tre notizie? Apparentemente nessuno, eppure la sottile linea rossa che connette ogni cosa esiste. L’uomo moderno sta perdendo quei pochi fari che ne avevano illuminato il cammino lasciando invece aperte direzioni di senso prive di buon senso e pregiudizialmente ostili agli insegnamenti del passato.

In questo apparente (perché è solo apparente!) caos etico e culturale sta entrando di tutto; e quindi vi sono tribunali che decidono quando staccare la spina ad un bimbo nonostante la contrarietà dei genitori; altri che garantiscono a ricchi signori di poter comprare figli al mercato della scienza; civiltà come quella occidentale che rendono omnicomprensivo il concetto di matrimonio e perciò, rendendolo tale, lo depotenziano da ogni suo tradizionale valore. E facendo ciò implicitamente dichiarano di voler proseguire il cammino in vista di nuove battaglie, prima fra tutte quella delle adozioni.

Su quest’ultimo tema, sommessamente ricordo che, poche settimane fa, a Medellin, un notaio ha riconosciuto lo status di famiglia a tre persone dello stesso sesso. Il ‘poliamore’ è realtà giuridica ma per il momento appare eventualità sconnessa dalle precedenti. Anche questa barriera verrà tuttavia demolita. Prima culturalmente, e poi equipaggiandola di tutti i puntelli giuridici.

E ne saremo tutti orgogliosi, noi civili cittadini del mondo globale, perché un altro passo verso la perfezione sarà stato fatto. Non la chiameremo più ὕβϱις ma civiltà.

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