Diciamo la verità: sapevamo sin dall’inizio come sarebbe andata a finire. L’estenuante negoziato, durato tre mesi e mezzo, tra i cristiano-democratici (Cdu-Csu) e i socialdemocratici è giunto al punto di svolta con un documento che dovrebbe servire da base di lavoro comune per la terza ‘Grosse-Koalition’.

Il governo si farà! E, dunque, quarto mandato per Angela Merkel, oramai da dodici anni leader indiscussa della più potente nazione europea, che per l’ennesima volta trova un compromesso con la sinistra. E lo trova partendo da temi che in campagna elettorale erano stati dirimenti come le tasse, l’immigrazione e la sanità ma che nelle prossime settimane si affinerà e irrobustirà su ogni possibile punto di scontro e di eventuale rottura.

C’è da aggiungere che, per ciò che concerne il quadro strategico, entrambi gli schieramenti hanno fatto inserire nel documento una clausola sull’eurozona nella quale si afferma: «Vogliamo, in stretta collaborazione con la Francia, rafforzare e riformare in maniera sostenibile la zona euro affinché la moneta possa resistere meglio alle crisi globali». Codicillo che dice tutto e niente, ma rientra nella logica del lessico burocratico le cui conseguenze sul piano delle scelte politiche sono le medesime da un decennio.

Tuttavia, ogni cosa è andata al suo posto. L’accordo, il compromesso con una conversione al ‘centro’ di entrambi gli schieramenti, le Borse che «hanno risposto bene», il compiacimento degli altri partner europei, a cominciare dal nostro Presidente del consiglio, Paolo Gentiloni, che su Twitter ha definito l’intesa «una buona notizia per l’Europa».

Consiglio-europeo

Una sceneggiatura trita e ritrita che, probabilmente, sarà riproposta in altri paesi europei, magari attraverso strumenti meno trasparenti di quelli tedeschi, e quindi con manovre di Palazzo, ma tutto quanto nella norma ‘democratica’ di questo tempo.

E i motivi perché possa riaccadere da altre parti sono meno complessi di quanto si possa immaginare. L’idea totalizzante di questa fase storica è quella di favorire il Mercato (la ‘M’ maiuscola è d’obbligo) con i tutti i suoi succedanei ideologici, politici e sociali. Partendo da una premessa di tal genere, anche forze politiche, coalizioni o singoli partiti, che si contrappongono con ordinaria bellicosità in campagna elettorale, trovano poi profonde connessioni per l’azione di governo che è sempre identica e mono-direzionale. Da quel punto di vista, l’esperienza del Governo Monti è stata paradigmatica. Da essa abbiamo velocemente imparato molto più che in decine e decine di saggi imponenti e carezzevoli editoriali. Così come traiamo le stesse conseguenze dalla vittoria di Emmanuel Macron in Francia, ex banchiere di Rothschild, che in un batter d’ali ha rottamato destre e sinistre.

L’indirizzo strategico dei governi occidentali si muove, in linea di massima, percorrendo un unico indirizzo che include minori tutele sociali e aperture di credito verso ogni strumento legislativo che possa favorire la globalizzazione economica in ogni sua forma e derivazione e la perdita di sovranità (almeno quello che ne rimane) degli stati nazionali. Da lì non si scappa. Dobbiamo prendere atto che la canea ululante tra opposti schieramenti che si leva in campagna elettorale, sarà subito pronta per avvitarsi un attimo dopo terminato lo spoglio elettorale.

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