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In passato, nel corso delle varie campagne elettorali, non sono mancati interventi più o meno espliciti da parte di rappresentanti di primissimo piano della Chiesa cattolica. D’altra parte, l’Italia è il paese dove la Democrazia cristiana si nutriva di parrocchie militarizzate e associazioni cattoliche che erano linfa vitale per il suo corpaccione pantagruelico. Ragioni di politica estera e di sopravvivenza facevano chiudere entrambi gli occhi ad analisti e commentatori. E peraltro, come ha sottolineato acutamente Camillo Langone in queste ore, se volessimo mettere il dito nella piaga, basterebbe ricordare che <<forse l’Inps non sarebbe messo com’è messo, se i predecessori di Bassetti, presidente della Cei, avessero tuonato contro l’abitudine davvero oscena di scaricare i debiti delle generazioni presenti sulle generazioni future>>.

Ma mettiamo da parte il passato e torniamo all’appello lanciato, qualche giorno fa, dal cardinale Gualtiero Bassetti, nella prolusione alla sessione invernale del Consiglio permanente della Conferenza, che peraltro segue a ruota quello del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, assumendo significato e connotazione diversa. Perché se quello del presidente della Repubblica sembra corretto nei toni e corrispondente al ruolo istituzionale, nell’altro caso c’è uno sconfinamento inutile e deleterio: <<La campagna elettorale – ha detto Basetti – sta rendendo serrato il dibattito, ma non si può comunque scordare quanto rimanga immorale lanciare promesse che già si sa di non riuscire a mantenere. Altrettanto immorale è speculare sulle paure della gente: al riguardo, bisogna essere coscienti che quando si soffia sul fuoco le scintille possono volare lontano e infiammare la casa comune, la casa di tutti».

Ora, la questione non riguarda l’ingerenza più o meno esplicita, o più o meno legittima, della gerarchia cattolica nelle ‘cose’ politiche italiane ma l’oggetto del contendere. I ‘vescovi italiani’ sono tenuti a far sentire la loro voce ogni qualvolta lo ritengono. Qui, però, lo ripetiamo, la vicenda è diversa. L’invito, o meglio il monito della Cei, non tocca aspetti etici, di coscienza religiosa e magari, come capitato appunto in passato, questioni inerenti il fine-vita, l’aborto, i matrimoni tra persone dello stesso sesso, i timori per l’inarrestabile progresso scientifico e così via.

Questa volta l’appunto che essi fanno riguarda i toni e la strategia mediatica complessiva dei partiti in campagna elettorale. Nel merito, una constatazione condivisibile; che la campagna elettorale sia talmente noiosa proprio perché rigogliosa di promesse mirabolanti se ne sono accorti tutti, dagli organi di stampa di qualunque colore o tendenza politica fino alla famosa ‘casalinga di Voghera’. Anche sui social e su piccoli giornali online non si parla d’altro, e cioè delle promesse che non potranno essere mantenute. Ma è proprio per tale motivo, allora, che non si comprende l’entrata a gamba tesa dei vescovi perché se tale deriva declaratoria e a tratti moralistica inizia ad avere una consistenza e una ripetitività su ogni questione diventa controproducente per loro stessi e incomprensibile per tutti quanti noi.

Cosa faranno la prossima volta? Indicheranno lo slogan più veritiero e individueranno quello in cui si nasconde la menzogna e la classica panzana da campagna elettorale? Disquisiranno sulle strategie marketing del singolo partito? E poi, dove sta scritto che i vescovi sappiano quale sia la ricetta giusta sulle riforme fiscali, sulle politiche industriali, sulle scelte di macroeconomia?

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