La ”questione morale” la inventarono i comunisti italiani. Quelli che da un lato sbraitavano contro la corruzione e dall’altro ricevevano rubli sonanti, e non pochi, da un potenza straniera nemica dell’occidente e magari pronta ad invaderci. Enrico Berlinguer trasse da quella stagione politica il massimo beneficio in termini di consenso e di credibilità personale. Ancora oggi, quando si blatera di onestà e trasparenza, il riferimento va direttamente a lui che, oltre ad essere stato un ottimo leader, gode pure di questa ingiustificata aureola di santità. Perché, nonostante si conosca la verità sulla faccenda dei finanziamenti illeciti da Mosca, si continua a perseguire una strada traboccante di falsità storiche. Post-comunisti di ogni risma e democratici in sedicesima ritornano con una certa frequenza sull’assioma «sinistra uguale moralità e onestà», senza però mai menzionare il fatto che queste premesse si fondano sulla doppiezza di una nomenclatura che veicolava messaggi falsi e li trasformava in verità consacrate grazie ad una egemonia su un apparato culturale e mediatico sempre compiacente.

 Poi se ne fecero vanto i missini i quali esclusi dal gioco parlamentare, e quindi lontani dai gangli vitali del potere e del governo locale e nazionale, esibivano con ostentazione la loro assoluta estraneità ad ogni forma compromissoria e corruttiva. Quando, difatti, allo scoppio di Tangentopoli, all’alba della Seconda Repubblica, poterono sfilare per le strade delle grandi città con guanti bianchi a dimostrazione della propria immunità da corruzione e inquinamenti, lo fecero con orgoglio e compiacimento. Solo qualche anno dopo, conquistati enti locali e governo centrale con la nuova divisa di Alleanza nazionale, non pochi di essi si peritarono di smentire tutto quanto per farsi trovare con le mani nella famosa marmellata.

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Lo stesso sta accadendo in queste settimane al M5S che, però, a differenza, dei due esempi citati, essendo movimento post-ideologico, quindi privo di una solida base ideale che possa tener sempre serrate le fila, infonde tutte le sue energie in questa azione monotematica, incentrata sulla ripetizione ossessiva del termine ‘‘onestà’’ e dei suoi correlati di azione politico-parlamentare, e quindi a fronte di notizie che riguardano bonifici emessi e poi revocati, avvisi di garanzia e fatti liminari, vede palesarsi le prime crepe nelle fondamenta.

E ciò non è fatto di poco conto. Sia per il Pci che per il Msi la questione della ‘diversità morale’ fu infatti importante ma non fondamentale ed esclusiva. Erano partiti che traevano linfa vitale da una storia decennale dove l’aspetto comunitario si legava ad una strategia complessiva tesa a reificare una nuovo modello di società. Insomma, missini e comunisti fecero tante battaglie contro la corruzione ma la loro azione politica era strutturata su più fronti con un disegno generale e omnicomprensivo. Condivisibili o meno, quei programmi e quelle ideologie fornivano un ampio ventaglio di applicazioni e se una parte dell’azione politica (per esempio, quella riferibile al tema legalitario o giustizialista) subiva dei contraccolpi per via di qualche inchiesta giudiziaria, la restante impalcatura ideologica riusciva a tenere in piedi tutto il resto. Perché in quei partiti, oltre a dei Savonarola pronti a puntare l’indice contro la partitocrazia e il mal governo, c’era anche dell’altro.

 I grillini hanno invece un peccato originale, un marchio indelebile. Le loro comprensibili campagne legalitarie paiono prive di una solida e radicata strategia collettiva e sembrano monotematiche. Spesso slegate da ogni contesto e pregiudizialmente orientate. E poi, per dirla in maniera semplice: avendo essi puntato sin dall’inizio tutte le loro fiches sulla diversità morale, ora non possono che pagarne le conseguenze con una celerità spaventosa rispetto ad ogni altra formazione politica. Il solo fatto che questioni non di eccelsa rilevanza politica si connotino di una risonanza mediatica enorme e creino così tanto imbarazzo nella stessa classe dirigente grillina, che pare per la prima volta balbettante, è la risultanza non solo di un evidente e comprensibile accerchiamento (…ma la politica è anche questo; vale per tutti e dovranno abituarsi anche loro!) ma soprattutto – ed essenzialmente –  di un carico di imprudenze ed errori che tocca il nucleo stesso del loro Dna, della loro stessa ragione sociale.

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