Damnatio memoriae. Italia e fascismo. Scritti storici sui tabù del nostro tempo, a cura di Francesco Carlesi (Eclettica edizioni, p.228, euro 13) e con saggi di Gianluca Passera, Michelangelo Suozzi, Fabrizio Vincenti, Francesco Guarente, Raimondo Fabbri, Sandro Righini e Daniele Trabucco.

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Di seguito, quarta di copertina e l’introduzione di Augusto Sinagra

A quasi ottant’anni di distanza, il ventennio mussoliniano rimane il periodo più discusso della storia italiana. Le censure e le lotte ideologiche hanno spesso impedito di cogliere le complessità di quell’epoca lontana, che con tutti i suoi drammi rappresentò comunque un passaggio importante della nazione in cammino. Tra le due guerre si sviluppò un pensiero economico-sociale antitetico al liberismo che influenzò irrimediabilmente le evoluzioni del dopoguerra. Il Codice Civile del ’42, le politiche demografiche e le teorie geopolitiche sono alcuni dei principali elementi di interesse nati nel contesto della dittatura. Inoltre, una serie di personaggi controcorrente aspetta ancora di essere riportata al centro del dibattito: Gradi, Panunzio, Di Crollalanza, Berto Ricci, Tassinari, Solaro, Bombacci, Biggini. Questo viaggio controcorrente si completa con incursioni storiche sul Risorgimento e la Prima guerra mondiale fino alle figure di Mattei e Olivetti, che si intrecciano, volenti o nolenti, con il ventennio su cui è caduta la damnatio memoriae.

     È da salutare con viva soddisfazione questo volume curato da Francesco Carlesi e da altri studiosi tanto giovani quanto valorosi e promettenti.  Non posso negare che in tempi di menzogna leggere cose vere e certamente frutto della indiscutibile onestà intellettuale degli Autori, induce anche ad un sentimento di conforto e di speranza. Non senza significato il volume reca il titolo Damnatio memoriae volendo significare già con il suo incipit la ferma determinazione di questi giovani studiosi di volere trarre dal buio profondo della Foiba un intero periodo della storia d’Italia che non è azzardato dire abbia costituito, con le sue luci e con le sue ombre, un’epopea.

      Un periodo della nostra storia nazionale che si è voluto, e purtroppo ancora si vorrebbe, non solo occultare nel buio di un abisso, ma addirittura cancellarlo come esso non fosse mai esistito. Già solo per questo sorge spontaneo un sentimento di gratitudine nei confronti di Francesco Carlesi come anche degli altri giovani studiosi che hanno contribuito a realizzare questa opera: Gianluca Passera, Michelangelo Suozzi, Fabrizio Vincenti, Francesco Guarente, Raimondo Fabbri, Sandro Righini e Daniele Trabucco. Di questi alcuni già li conoscevo per i loro scritti e per il loro impegno ma a tutti va rivolta la mia profonda gratitudine anche per il coraggio che essi dimostrano nell’affrontare tematiche “politicamente scorrette”, come oggi si usa dire, senza alcuna esitazione a render palese il rifiuto dell’imposizione di un “pensiero unico” e di una ricostruzione degli eventi storici tanto unilaterale quanto falsa. Questo volume, dunque, deve essere inteso anche come un manifesto e consapevole atto di coraggio civile, prima ancora che politico, dei suoi Autori che ad esso hanno contribuito pur in piena consapevolezza del fatto che questa loro opera sarà causa per essi di discriminazioni e di ogni altra diversa forma di violenza morale.

     Il volume certamente non può ripercorrere in tutti i suoi aspetti la vicenda storica del Fascismo dal 1919 al 1945, che da movimento si trasforma poi in regime. Il volume è strutturato in due parti: una ha ad oggetto alcune “questioni storiche”, l’altra ha ad oggetto “ritratti” di talune personalità che hanno caratterizzato l’epoca fascista con la loro azione ed i loro studi: dal sindacalismo alla democrazia organica; dall’impegno in guerra all’impegno nella vita civile; dalla sfida al comunismo come al capitalismo, marcando in tal modo profili e contenuti della cosiddetta “terza via”; dal costituzionalismo fascista alla rivoluzione “graduale”. Questa seconda parte comprende anche ritratti di personalità attive anche nel dopo-Fascismo: Adriano Olivetti ed Enrico Mattei che dal Fascismo trassero lo spirito della comunità e della solidarietà e lo spirito della difesa intransigente dei legittimi interessi e della dignità nazionale. D’altra parte, non è un caso che la stessa vigente Costituzione repubblicana del 1948 riprende molto della politica sociale ed economica del Fascismo operando una scelta più rivolta al “comunitarismo” che all’individualismo, esaltando il lavoro e favorendo il risparmio, promuovendo la classe lavoratrice fino a prevederne la presenza negli organi di gestione delle imprese e, tra le altre cose ancora, sottolineando la funzione sociale della proprietà privata e dell’impresa che tuttavia non significa negazione della proprietà privata o negazione della libertà di impresa. Il volume in questione tratta nella sua prima parte, come si è detto, talune questioni storiche individuandole tra le più significative e non in dipendenza di una loro consequenzialità cronologica. Così dal Risorgimento alla grande guerra come “quarta guerra di indipendenza”. Segue l’esame del rapporto tra l’Italia fascista e il liberismo e la definizione contenutistica della “terza via” dal primo dopoguerra fino all’attualità.

    Si è detto che si affrontano questioni storiche ma in realtà sono questioni che pur avendo una ormai antica origine storica, si impongono ancora oggi nella attualità e così l’attenzione del volume si incentra sulla «Carta del lavoro» cui segue appunto un ineludibile interrogativo: è una storia “che non è ancora finita?”. Un’attenzione specifica è rivolta alla lotta alla mafia condotta dal Fascismo anche con metodi di risoluta spietatezza a fronte della emergenzialità delinquenziale del fenomeno mafioso. Vengono poi delineate le linee della geopolitica italiana del passato e del futuro.

    La prima parte del volume si conclude affrontando un problema di particolare attualità: il problema del calo demografico in Italia che va affrontato in base alla incontestabile considerazione che il “regresso delle nascite è la morte dei popoli”. La seconda parte del volume, come si è detto, è una interessantissima “galleria” di ritratti di personalità che hanno profondamente inciso nella più che ventennale esperienza fascista italiana. Si tratta di personaggi ai quali il volume rende giusto merito per quanto, in termini di azione e di idee, essi avevano contribuito a quella gigantesca opera di modernizzazione dello Stato e della Nazione promossa dal Fascismo. Si tratta di personaggi più noti e meno noti. Si tratta di personaggi ormai tutti scomparsi dalla vita terrena ma certamente sempre presenti nella memoria nazionale. Personaggi anche solo in apparenza contraddittori ma viceversa sempre coerenti alle loro immutate idee di giustizia e di equità sociale. Così è a dire soprattutto di Nicola Bombacci, “il comunista in camicia nera”, la cui tragica ma esaltante fine viene ricordata per le sue ultime parole rivolte ai suoi assassini: «Viva il socialismo». Un atto di accusa, una condanna tanto inesorabile quanto vera che con solo due parole segnò la linea di demarcazione non solo tra assassini e vittime, ma anche tra chi era nella ragione e chi nel torto; tra chi era con i lavoratori e chi era contro. Così pure viene evocata la figura di Giuseppe Solaro, ultimo Podestà della Città di Torino, impegnato da sempre nella sua lotta disperata contro il comunismo e il capitalismo dell’alta finanza speculativa. La fierezza di Giuseppe Solaro è consacrata nella sua ultima foto che lo ritrae compostamente vestito, commiserante con la sua dignità verso i suoi aguzzini che per sfregio vollero a lui riservare la morte per impiccagione, unico caso di omicidio partigiano (tra le tante centinaia) commesso in tal modo.

    Un’attenzione particolare viene rivolta a Berto Ricci per la sua costante e intransigente lotta al capitalismo da lui condotta con lo stesso slancio e la stessa passione dei combattimenti durante la grande guerra, e a Sergio Panunzio, il sindacalista e il giurista rivoluzionario. Un nome questo che mi è particolarmente caro perché tra i primi che io sentii nella mia famiglia essendo stato mio padre in un certo senso “allievo” del Prof.  Panunzio dal cui pensiero e dalla cui passione negli e per gli studi egli trasse molta ispirazione. E poi Mario Grandi, il teorico della “democrazia organica”, Aurelio Padovani, Giuseppe Tassinari, Araldo di Crollalanza, l’uomo della ricostruzione dopo il devastante sisma del 1930 in Irpinia, l’uomo che restituì alle casse dello Stato 500.000 lire che erano “avanzate” rispetto alla somma messagli a disposizione per la ricostruzione. E infine, l’indimenticabile e indimenticato Carlo Alberto Bigini, il teorico del costituzionalismo fascista, molto prematuramente e scomparso in circostanze mai chiarite e che se fosse sopravvissuto molto avrebbe potuto dire del famoso carteggio Mussolini-Churchill del quale egli era certamente in possesso.

    Il volume si conclude con interessantissime riflessioni del suo curatore Francesco Carlesi a proposito dell’espansione statunitense in ragione di un preteso “destino manifesto” della Nazione nordamericana che inizialmente rivolto a nobili idealità con riguardo all’organizzazione politica e sociale interna e con riguardo all’azione estera della giovane e grande Confederazione (rectius Federazione), si è poi tramutato in autogiustificazione per violente azioni di imperialismo di rapina e sopraffattorio nella declinazione di improponibili mistificazioni: dalla promozione dei diritti umani alla “esportazione della democrazia” attraverso l’organizzazione di colpi di Stato anche violenti in pregiudizio della indipendenza politica ed economica di molti Stati pur di antica tradizione.

   L’ espressione “primavere colorate” o, nello specifico, “primavere arabe” fu già “coniata” negli ambienti dell’establishment politico e militare statunitense ben prima che accadessero le volute devastazioni in quei tanti Stati vittime della “difesa dei diritti umani”. Diceva il sociologo francese Pierre-Joseph Proudhon “Chi dice umanità cerca di ingannarti” ma molti, troppi, hanno dimenticato questo ammonimento volto a denunciare la menzogna e disvelare l’inganno. Come ho detto, questo volume non ripercorre, né potrebbe farlo, tutte le vicende e tutti i personaggi di un arco storico più che ventennale, ma mette in luce aspetti significativi di quella esperienza politica che attirò l’attenzione di tanti e tanti governi, intellettuali, politici, sindacalisti ed operatori economici di ogni parte del mondo, a cominciare dal Presidente degli Stati Uniti d’America Franklin Delano Roosevelt, in particolare, per gli ancora perduranti effetti della devastante crisi economica del 1929 che fu crisi veramente economica e di produzione, non come quella di oggi che è crisi monetaria e di speculazione finanziaria. Il volume avrebbe potuto nella parte introduttiva delle vicende e questioni storiche ricordare anche la leggendaria figura del Poeta Armato, l’Impresa fiumana e lo Statuto della Reggenza Italiana del Carnaro dal quale molto fu “preso” dal Fascismo per la costruzione dello Stato corporativo.

   Per altro aspetto, e a tacer d’altro, bisogna pur dire che il volume in questione ha il grande merito di evidenziare nella ricostruzione della vicenda storica e dei molti personaggi che ne furono protagonisti, i grandi meriti del Fascismo: l’anteposizione dei diritti sociali ed economici rispetto ai diritti civili e politici dei quali i primi ne sono presupposto perché senza questi i secondi sarebbero vacue enunciazioni tipiche dello Stato liberale; il diverso rapporto di rappresentanza tra il cittadino e lo Stato, poiché non è lo Stato che rappresenta il cittadino ma viceversa: il cittadino “è” lo Stato; la esaltazione del lavoro come unico fattore della produzione; la consapevolezza che le libertà individuali esistono effettivamente se esiste la libertà collettiva, cioè la libertà del Popolo; l’azione costante di strenua difesa dei legittimi interessi nazionali. E poi, tante altre “cose” ancora ma senza dimenticare i lati oscuri dell’esperienza fascista e tra questi l’infamia delle leggi razziali. Non l’errore di una guerra che è facile giudicare ex post in ragione del suo esito infausto, ma che va valutata anche in considerazione dei tradimenti interni “certificati” nell’art. 16 del cosiddetto “trattato di pace” del 10 febbraio 1947.  Esito infausto di una guerra combattuta praticamente contro il mondo intero in nome di una idealità che trascendeva la contingente finalità intrinseca di uno sforzo bellico: era la guerra “del sangue contro l’oro”.  Ha vinto l’oro e oggi ne vediamo e ne paghiamo le conseguenze.

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