La figura pubblica di Dominique Venner, almeno a leggere la pubblicistica più recente, sembra delinearsi attraverso i tratti di una personalità decisa, quasi senza spigolature, seppur divisa tra l’agire politico e l’approfondimento teorico, la militanza e la scrittura.

Atteggiamenti che, invece, si compenetrano di continuo perché all’attivismo dei primi decenni quando, circondato da un’aura leggendaria passa anche per le patrie galere, si associa una più che distinguibile postura intellettuale.

Il richiamo alla disciplina interiore, la centralità della formazione, la volontà di edificare una «comunità organica di popolo» con al fondo la rinascita di una nuova Europa sono alcuni pilastri su cui edifica i suoi manuali di resistenza che diventano best seller per la galassia identitaria ma con l’intuizione che il nazionalismo rappresentasse una prospettiva minuta rispetto a quella europea.

In questo senso, i saggi storici, e quindi il volume che narra l’epopea dei Freikorps, corpi franche nati dalle ceneri dell’Esercito Imperiale nella caotica Germania del dopo Armistizio del novembre 1918, o quello sulla tradizione degli europei, non rappresentano solo una trasposizione dei nessi cronologici di fatti rilevanti ma il tracciato di una sorta di Europa ancestrale e cavalleresca, non ancora cinta da un’immigrazione selvaggia e succube «della ragione calcolatrice, della volontà di potenza delle scienze e della tecnica, della religione del Progresso».

La pubblicazione del secondo volume dei suoi taccuini (Pagine ribelli, Passaggio al bosco editore, traduzione di Camilla Scarpa) – che, questa volta, copre il periodo dal 1982 al 1991–, nonostante interessi letterari e filosofici policromi, mette il lettore di fronte ad un progetto che resta piantato nel reale.

Queste pagine ci svelano infatti qualcosa in più delle descrizioni raffazzonate di certa pubblicistica. Non un reazionario dai toni spocchiosamente crepuscolari ma uno studioso che, pur assumendo su di sé il carico di mille contraddizioni, sperimenta e approfondisce questioni anche lontane dalle sue più radicate sensibilità.

Se Venner, come racconta nella prefazione Jean-Yves Le Gallou, può essere considerato il degno erede di quella Rivoluzione conservatrice «compendiata dalle figure di Stauffenberg, von Salomon o Jünger», e dunque «poeta, cantore e bardo dell’identità», allo stesso tempo, è animato da una incontenibile curiosità intellettuale. Proprio Le Gallou ricorda che quando era intento ad elaborare la teoria del “gramscismo tecnologico” – e quindi ad analizzare i nuovi fenomeni legati a Internet e alle reti sociali-, Venner fu tra i pochissimi del mondo identitario a persuadersi all’istante della necessità di approfondire questi temi. E lo fece anche concretamente, dotandosi di un suo sito «dalle grafiche molto eleganti».

Taccuini che, dunque, trovano una loro intima coerenza nella mancanza di cristallizzazione a partire da un pantheon personale che, se per un verso, annovera filosofi e figure eroiche dell’Antichità greco-romana, dall’altro si apre poi alle più diverse speculazioni.

Così troviamo pensieri sparsi sul gollismo, sul comunismo, sulla relazione Anima/spirito, sulla morte, sulla scherma, sulla comunicazione dei mass media, sull’assassinio di Kennedy, citazioni da romanzi o saggi, recensioni a volumi di Joseph Conrad, Goethe, Mann, Malraux, Isaiah Berlin, e suggerimenti di lettura sull’occultismo, sull’araldica, sul mito di Antigone, sul panteismo.

Quindi, il catalogo della sua biblioteca fondamentale con una suddivisione per aggettivi: Euforizzanti (Jean Anouilh, Roger Nimier, Roger Vailland, Antoine Blondin, Jean Raspail), Tonici (Montherlant, Régis Boyer, Solženicyn, Evola), Droghe leggere (Julien Gracq, André Malraux, Hugo Pratt, Faulkner), Stimolanti (Paul Morand, Robert Poulet, Pierre Gripari, Dostoevskij, Spengler, Jean Cau, Konrad Lorenz), Terapie a lungo termine (Tolstoj, Stendhal, Rebatet, Mishima, Maupassant, Šolokhov, Jack London), Depurativi – Per ripulire la lingua, inquinata dall’abuso di TV e  pubblicità (Barbey d’Aurevilly, Saint-Simon, Monluc, Rimbaud) e Droghe pesanti (Ernst Jünger, Ernst von Salomon, T. E. Lawrence).

E sorprendentemente anche l’interesse per il cinema americano con relativi commenti positivi a vari cult-movie (La grande illusione, Mezzogiorno di fuoco, Rio Bravo, Il cacciatore, Il mucchio selvaggio, L’uomo del fiume nevoso, Joss il professionista).

La chiosa finale a questo ribollire di interessi la mette lo stesso Venner: «un vero pensatore è colui la cui opera vieta di pensare come prima si pensava». Ma, sullo sfondo, sempre si staglia evocativo l’ultimo atto di questa radicale ribellione. Il richiamo ad una morte “in piedi fra le rovine” come punto d’incontro tra militanza attiva e analisi teoretica, e che si compie il 21 maggio 2013 quando, nel primo pomeriggio, dopo che per mesi ha programmato ogni cosa, fin nei minimi particolari, entra nella cattedrale di Notre-Dame, va verso l’altare maggiore e si spara in bocca.

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