Sono trascorsi cinquant’anni dalla morte di Julius Evola, e il 2024 è stato segnato da una varietà di incontri e pubblicazioni che hanno tentato di anatomizzarne la figura. L’ultima uscita editoriale, Notturno Europeo. Serate sull’orlo della catastrofe, pubblicata da Altaforte Edizioni e curata da Andrea Scarabelli e Adriano Scianca, si distingue per un approccio originale, lontano dalle convenzionali prospettive analitiche, e adotta un costrutto di narrazione innovativa. Una raccolta di articoli, quasi tutti degli anni Trenta, a cui vengono aggiunte due lettere di Evola a Filippo De Pisis, e un saggio di Scianca su una singolare e improbabile correlazione con Guy Debord. A completare il tutto, una incantevole copertina che cattura di certo l’attenzione.

In quegli anni, Evola attraversava l’Europa come inviato degli Esteri per diversi giornali, operando sotto la protezione di figure influenti come Roberto Farinacci, responsabile de Il Regime Fascista, per cui lavorò dal 1934 al 1943, curando la rubrica Diorama Filosofico, e Giovanni Preziosi, direttore de La Vita Italiana.

La lettura di questi articoli dissolve il cliché intorno all’immagine di Evola come intellettuale oscurantista, rivelandone tutta una complessità che non altera i suoi tratti distintivi. Pur immergendosi completamente in questo mondo notturno, non ne è mai sopraffatto. Lo esplora senza inibizioni sebbene si contenga nel ruolo di osservatore scrupoloso, intento a scoprire gli aspetti più nascosti e profondi, ignorati da chi si ferma a un’analisi di superficie.

Il cliché che ci è stato tramandato è quello di un pensatore isolato, estraneo a una visione mondana della vita e lontano dalle luci della ribalta, dedito al rigore delle sue opere, sempre caratterizzate da uno stile severo e perentorio. Eppure, a sorpresa, nel ruolo di corrispondente emerge una sfaccettatura inedita: il suo sguardo penetrante si rivolge alla vita notturna e ne rimane incantato. Descrive con cura un’umanità vibrante e variopinta, senza però mai abbandonarsi al gusto del frivolo. Le riflessioni si intrecciano con una ricerca del significato profondo nelle musiche ascoltate in un locale di lusso, nelle danze o nelle atmosfere decadenti, che non gli appaiono perciò solo come strumenti di uno spettacolo ma simboli eloquenti di un’epoca.

Il periodo coperto abbraccia un decennio ma il contesto narrativo delineato dai curatori si sviluppa attraverso una mappa di luoghi simbolici fatto di città e luoghi significativi: Parigi, Berlino, Vienna, Budapest, Amsterdam, Bucarest e Belgrado, o mete come le Alpi e Capri. La vita notturna europea incarnava la duplicità del tempo, dove il fervore culturale si intrecciava con le crescenti pressioni politiche. Alcune città risplendevano per dinamismo e audacia, mentre altre iniziavano a risentire di restrizioni politiche, ricorrendo a soluzioni più discrete. E dunque la narrazione, meno rigorosa rispetto a quella abituale di colui che è stato sempre rappresentato come il filosofo della Tradizione, si mescola con le notti animate di queste città e con la loro vibrante vita culturale. Adriano Romualdi aveva colto questi dettagli decrittandoli con una spiegazione netta: «Il vero Evola è quello che scompare per mesi tra i ghiacciai per scrivere un libro, che alterna le donne affascinanti (e furono numerose) con quelle scalate alpine che gli servono a mantenere allenato lo spirito. (…) È quello che suddivide il tempo libero tra i tabarins di Vienna e i chiostri alpini dei Cistercensi, alla cui disciplina si sottopone per mesi».

Non si rincorre una contrapposizione tra opposti, tantomeno un Evola dissoluto e compiutamente travolto dall’ebbrezza dionisiaca. Di fronte ad ogni “diversione”, rimane un osservatore vigile, pronto a cogliere il senso più profondo degli eventi.

Quella è un’Europa che si avvicina al conflitto, che scivola verso la guerra, e che Evola analizza nell’incunearsi del tramonto, tra locali notturni, piatti prelibati, liquori ricercati, cinema e passeggiate fino all’alba, quando la foschia stimola visioni oniriche e descrizioni che sfiorano il mondo dei sogni, offrendo un ritratto inconsueto.

La quotidianità notturna si intreccia così con la “grande Storia”, come accadde durante il suo soggiorno a Vienna, quando si trova lì proprio nella notte in cui la città venne incorporata alla Germania. A Bucarest, ad esempio, assiste a una festa di zingari che rasenta i confini dei rituali tantrici; a Capri, «centro di uno speciale magnetismo», si confronta con quello che descrive come un paganesimo estetizzante. Le notti parigine, invece, sono presentate come una sorta di «scuola di castità», per la capacità – all’inizio – di aver reso la nudità femminile un elemento naturale e privo di artificiosità ma poi, anche parte di una routine quotidiana che è finita per standardizzare i modelli di intrattenimento.

Per il lettore, risulteranno particolarmente divertenti i resoconti dei locali notturni, con i nomi dei tabarins, gli orari di frequentazione, la variegata umanità che li popola, spesso immersa in un’atmosfera di apatia e torpore. E poi le curate descrizioni delle coreografie, degli abiti più o meno succinti delle ballerine (chiamate «le girls»), delle pettinature e dei passi armonizzati con la musica. Ma, gli episodi, narrati con una precisione quasi maniacale, e le esperienze, anche le più comuni, alla fine si arricchiscono sempre di una dimensione analitica di notevole spessore che, solo, apparentemente sembra passare in secondo piano.

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