Il giovane Alfredo Cattabiani scelse Joseph de Maistre come tema per la tesi di laurea all’Università di Torino, ma la decisione fu vista come un affronto. Durante la discussione, Norberto Bobbio, controrelatore, compì un gesto plateale: afferrò il lavoro, lo gettò a terra e dichiarò di non voler commentare le idee di un «teorico della schiavitù». L’episodio, frequentemente citato, è paradigmatico perché simboleggia l’ostilità che per decenni ha caratterizzato un autore considerato marginale.

Pur apprezzabile per coerenza e rigore, la sua filosofia è infatti sempre percepita come anacronistica. Ridurre tuttavia de Maistre a una figura puramente reattiva sarebbe un errore, e non solo perché il suo pensiero trascende l’opposizione elementare ai cambiamenti del suo tempo.

Sebbene fosse un critico feroce degli illuministi, non esita a indirizzare critiche anche verso il mondo cattolico, denunciandone debolezze e contraddizioni interne. Se sfrondato dunque da eccessi retorici, il suo pensiero può rivelare una particolare capacità di cogliere le diverse sfumature del moderno, come si evidenzia nel saggio Il Papa che rappresenta il punto più maturo della sua produzione e che, con la curatela di Jacques Lovie e Joannès Chetail, viene ora riproposto dalle edizioni Luni.

È fuor di dubbio che il cambiamento fondamentale nel suo approccio avvenga con i fatti del 1789: «A lungo non abbiamo capito la rivoluzione di cui siamo testimoni; a lungo l’abbiamo presa per un avvenimento. Sbagliavano: essa è un’epoca». La Rivoluzione rappresenta una guerra dichiarata contro l’ordine tradizionale, con l’obiettivo di annientare la Chiesa e il papato. Dal suo punto di vista, l’intenzione è invece quella di restaurare il primato papale, che nel Medioevo aveva garantito un modello di Europa che egli avverte già in crisi fin dalle prime avvisaglie della Riforma protestante.

Ma a demolire l’immagine di un pensatore avvolto in quest’aura grigia dovrebbe essere sufficiente una vita segnata da eventi straordinari. Cresciuto in un ambiente colto, si racconta che sua madre lo addormentasse recitando i versi di Racine. Massone di alto grado, frequentò le scuole dei gesuiti, che difese con grande ardore anche dopo lo scioglimento dell’ordine. Oltre a conoscere perfettamente l’inglese, il portoghese, lo spagnolo e il latino, si dilettava anche con il greco, il tedesco, il russo e l’ebraico. Una eccezionale erudizione linguistica che fu strumento essenziale per il confronto con una vasta gamma di tradizioni filosofiche e culturali.

Gli eventi legati alla Rivoluzione francese lo costrinsero all’esilio per oltre vent’anni, vivendo prima ad Aosta, poi a Losanna e infine a San Pietroburgo, dove rimase dal 1802 al 1817. Vittorio Emanuele I lo nominò ministro plenipotenziario presso la corte russa, un incarico che gli permise di giocare un ruolo di primo piano nelle relazioni diplomatiche. A San Pietroburgo divenne una figura di riferimento per molti, anche dello zar Alessandro I. Dopo aver sostenuto fermamente la causa dei Gesuiti, cadde però in disgrazia con lo zar e tornò in Italia nel 1817, dove continuò a ricoprire ruoli istituzionali alla corte sabauda.

Il Papa, pubblicato nel 1819, poco prima della sua morte ma concepito e redatto negli anni russi, riesce ad evidenziare tutti i riverberi filosofici, religiosi e politici del suo pensiero. L’immediato successo editoriale, con oltre cinquanta ristampe nel corso dell’Ottocento, ne dimostra anche l’apprezzamento generale

Non solo difende la figura del Papa come guida spirituale della Chiesa, ma ne ridefinisce il ruolo di regolatore dell’ordine morale e giuridico della società, capace di garantire l’unità e la continuità della civiltà. De Maistre riflette poi sul rapporto tra Chiesa e Stato, sostenendo che, poiché la Rivoluzione aveva infranto l’ordine naturale stabilito da Dio, fosse legittimo l’intervento del Papa per ripristinarlo. Ma c’è qualcosa in più: in quanto potere supremo e infallibile, il Papa sarebbe stato l’unico giudice in grado di impedire alle monarchie di deviare dal loro corso originario e degenerare in tirannidi. La sua analisi implicava che il potere papale non fosse assoluto, ma subordinato al diritto divino e alle disposizioni stabilite da Cristo per la Chiesa. Sebbene il Papa avesse un’autorità incontestabile in materia di fede, tale potere non doveva estendersi all’ambito politico, escludendo le questioni terrene dalla sua giurisdizione. Il Papa poteva però intervenire per evitare che tali questioni degenerassero. In questo senso, è concepito come una sorta di alto mediatore tra l’umano e il divino, sempre in armonia con la volontà di Dio, dal momento che de Maistre sostiene che la connessione tra Dio e l’uomo debba avere origine dal divino e non dalle necessità umane. Si tratta di un approccio ribaltato rispetto alle tendenze più recenti, sia interne che liminari al mondo cattolico, che vedono nella conformità ai tempi, alle mode e alle consuetudini un valore centrale. E forse è proprio questo a infastidire i suoi critici!

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