Esattamente dieci anni fa, dedicai un intero paragrafo de L’ubbidente democratico (pubblicato, tra l’altro, proprio da Idrovolante) ai cosiddetti Firmaioli. Mai avrei pensato – anzi, sì, in verità, lo pensavo – che dopo tutto questo tempo, a causa di quanto sta accadendo alla Fiera del libro di Roma, saremmo ancora qui a discutere di divieti, censura e intellettuali o pseudo tali che firmano appelli.

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    I temi che ho sviluppato in questo libro non avrebbero ragion di esistere se non vi fosse una razza in espansione composta da quelli che Montanelli definiva firmaioli in grado di soggiogare anche chi avrebbe dovuto redimerla per tempo. Sacerdoti dell’ortodossia conformistica sempre pronti ad apporre l’aristocratico sigillo ai manifesti intellettuali. Oramai una categoria dello spirito. Pronti a firmare di tutto, anche le vecchie cambiali, purché la loro mano apponga l’autografo su quella che agli occhi della massa appaia come una nobile causa. Consumati commedianti reattivi oltre ogni umana comprensione nei confronti di ingiustizie perpetuate in piccolo ogni anfratto del globo terracqueo.

    Il loro punto di forza sta in una non comune capacità camaleontica evolutasi nei decenni e, al contempo, in una ferrea corazza ideologica grazie alla quale ogni irrilevante analisi, ogni pur modesta considerazione assume un significato intimidatorio e definitivo. Perché c’è nettezza di pregiudizi (prima ancora di giudizi) e mai il benché minimo brontolìo di un rimorso.

    Da parte nostra non si è mai pronti ad avere accesso a un’efficace comprensione di un tema perché è sempre e solo la cornice che sopravanza il resto; e la cornice è rappresentata dalla loro storia personale e politica e dalle loro firme. Ma sono atteggiamenti che hanno pure un rovescio della medaglia. Capitò che Sabina Guzzanti appose una firma per un appello che poi scoprì non condividere. Si era schierata ‘a sua insaputa’ contro Barbara Spinelli e si scusò subito dopo. La frenesia che prima o poi accarezza l’ego dei finti o reali intellettuali le aveva giocato un brutto scherzo. Pur di firmare, non aveva letto il testo, ma sono certo che il canovaccio sia unico e in tanti si comportino allo stesso modo, dando una scorsa alle firme in calce al testo e aggiungendo la propria.

    In linea di massima, si tratta di una compagnia di giro sulle cui battaglie civili sarebbe bene soprassedere. Sanno tutto e la sanno lunga, fino a far detonare il proprio ego smisurato in un’arma dialettica anche per vendette cruente perché non c’è argomento politico, questione sociale o etica, approfondimento scientifico o dilemma teologico in cui non si sentano in dovere di mettere becco e sul quale con insolente spocchia non fondino ed impongano un modello gnoseologico incontrovertibile.

    Sei un comico? Una cantante? Uno stilista di intimo? Uno studioso di sistemi elettorali? Un docente di diritto tributario? Un sondaggista? Un fotografo di grido? Uno scrittore di chiara fama? Ti sei occupato per tutta la vita di recitare stornelli romaneschi? Ciò nonostante ti senti in dovere di firmare un manifesto che tocca le basi filosofiche, etiche, religiose della società contemporanea. Non importa quale grado di preparazione tu abbia su uno specifico tema. Nulla suscita la tua resistenza. Le tue certezze prendono possesso della scena ed esulano dall’umano bisogno di armarsi di un minimo di umiltà e di ritrosia di fronte al groviglio delle problematiche.

    Beninteso, non che sia vietato esprimersi, ma il darsi buona coscienza attraverso l’apposizione di una firma e l’espressione compunta è da vigliacchi. E poi, come facciano ad essere preparati, ad avere certezze perentorie e a sproloquiare con dovizia di particolari su ogni argomento resta un mistero insondabile oltre che una ennesima fonte di ansia per noi, comuni mortali, sempre corrosi da dubbi, mendichi di ogni microscopico pezzetto di verità. Invece, mai una piega, una titubanza. Solo certezze apodittiche accompagnate da ricercate eccentricità e sentenze pronunciate rapidamente e senz’appello.

    Ma a dar fastidio è l’ossessiva ripetitività della liturgia: centinaia e centinaia di firme (ma quanti intellettuali ci sono in giro?), paginate di giornali ridondanti di nomi più o meno famosi, faccioni bene in vista e prime fila di teatri-occupati con la scusa di dover supportare mediaticamente la ‘battaglia civile’.

    Perché, si badi bene, la loro è una battaglia di civiltà. Ci mancherebbe! Pura azione pedagogica nei confronti di un popolo servo e sciocco. Il nocciolo è infatti sempre identico: da una parte i difensori delle libertà e dei diritti democratici; dall’altra i lberticidi, i furbi e gli arruffoni da civilizzare. E a colpirmi non è tanto l’oggetto della battaglia culturale perché in taluni, limitati e circoscritti ambiti, potrebbe avere, oltre ad una valenza simbolica, anche ricadute effettive (e positive) sulla società, quanto invece la proposta reiterata, la presenza invasiva in ogni campo e l’eventuale coesistenza di uno spettro di possibili posizionamenti che miscelano e confondono in uno stagnante acquitrino conformistico ogni sensibilità e appartenenza, preservandola da chissà quale incursione reazionaria.

    E poi, a ben guardare, i primi a partecipare alle storture del regime sono proprio loro. Chiedono fondi per la cultura, firmano manifesti per il cinema, arricciano il naso nei confronti del Ministro di turno, ma sono gli unici ad incamerare sovvenzioni per i loro noiosi film che nessuno vede tranne pochi familiari; fanno ‘girotondi’ e lottano per la scuola pubblica ma mandano i figli in quelle d’élite e straniere; sono favorevoli a una immigrazione anche di vaste dimensioni ma poi vivono in quartieri di lusso dove il ‘contagio’ con il sottoproletariato di ogni specie e razza non può mai avvenire, e così via.

    Di molti di questi polemisti incendiari apprezziamo intelligenza, intuizioni colte, scrittura elegante e ricercata, ma i manifesti restano dei perniciosi feticci, piazze pubbliche in cui esercitare il narciso che è in ognuno di essi.

    Diciamola tutta: ma si può davvero accettare il fatto che uno, solo perché produca un film sulla corruzione pubblica, scriva un libro di successo sulla camorra o sulla mafia, una mezza dozzina di libri di costume o faccia il notista politico, possa avere un giudizio nitido e definitivo sui gas-serra, su tutti i temi di macro e micro-economia, sul Kazakistan o sul Burkina Faso, sulle politiche energetiche della Russia di Putin, e sia sempre pronto ad avventurarsi in arzigogoli vestiti da idee?

    Eppure non vanno presi con beneficio di inventario in quanto coriacei ed inesorabili perché mai rosi da alcun rimorso. Non sono insomma delle indecifrabili anticaglie perché sono capaci di indossare con la stessa nonchalance la cimice fascista e un attimo dopo la stella rossa ma sempre con i galloni da ufficiale; e perché il tarlo dell’intolleranza fluisce lungo i decenni e li attraversa con regolarità uniforme. Il manifesto contro il commissario Calabresi potrà anche essere un ‘errore di gioventù’ ormai caduto nel dimenticatoio, ma ne costituisce un caso tipico in cui si è assaporato fino in fondo pure il gusto del pubblico ludibrio.

    Ho la sensazione che perciò non basti più indicare gli stilemi delle loro battaglie per emendarsene, perché si accaniscono su tutto. Bisogna oramai diffidare apertamente di chi la sa lunga su ogni cosa. Anche perché gran parte di quella meglio gioventù ha agitato tutti i fantasmi ideologici e accarezzato ogni utopia adagiandosi ben volentieri in una sceneggiatura da cui non prende mai commiato.

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