Adriano Romualdi (1940-1973) è stato a lungo un punto di riferimento nei circoli culturali e politici della destra italiana. La sua opera ha rappresentato una traccia per chi ha voluto indagare le radici ideologiche e filosofiche di quel mondo e il suo nome ha evocato letture, connessioni significative, percorsi intellettuali poco battuti, riflessioni teoriche e interessi letterari di grande spessore.

Figlio di Pino Romualdi, storico dirigente del MSI, Adriano scelse di seguire un sentiero di pensiero autonomo, dedicandosi innanzitutto a una rilettura del pensiero tradizionalista. La sua carriera, bruscamente interrotta da un incidente stradale mortale, nell’agosto del 1973, a soli 32 anni, rifletteva una ricerca incessante di alternative alla crisi spirituale e morale dell’Occidente, con l’obiettivo di costruire una visione teorica innovativa capace di superare la mera logica delle fazioni politiche.

Il suo lavoro non si limitava a delineare una nuova declinazione della destra, ma ambiva a offrire una risposta culturale organica. Oltre la risoluzione di conflitti contingenti, con l’obiettivo di affrontare le cause profonde del declino dell’Occidente.

Per approfondire il suo pensiero, un contributo prezioso è rappresentato dal volume Scritti ritrovati (Edizioni Arya), curato da Alberto Lombardo. Il libro si apre con una premessa di Gianfranco De Turris e si conclude con una sua intervista a Romualdi risalente al marzo 1973, pubblicata su Intervento.

Questo lavoro non è solo un tributo, ma una chiave per riscoprire la complessità dei temi in un arco temporale che spazia dal 1957 alla sua morte. Gli articoli, raccolti per testata, mostrano la esplorazione in diversi ambiti: dalla metapolitica alla filosofia, dalla Konservative Revolution a Nietzsche, fino all’incontro cruciale con Evola; e poi, il Medioevo, Spengler, Prezzolini, Joyce, l’Impero romano, le religioni precristiane, Pasolini.

Sebbene sia stato spesso ristretto nell’esegesi evoliana, Romualdi tentò sempre di affrancarsi dalla tipizzazione, cercando anche di superare il neofascismo statico di quei decenni e, quindi, proponendo una nuova declinazione del tradizionalismo capace di dialogare col moderno.

Attraverso lo studio delle origini indoeuropee, intravedeva un senso di eternità capace di superare i limiti imposti dalla modernità progressista e liberale. Il suo percorso si radicava al mito e a una spiritualità aristocratica, cercando una possibile sintesi tra passato e futuro. Critico verso il predominio della tecnologia, che considerava fonte di alienazione e disumanizzazione, proponeva una visione della tradizione europea come sintesi vivente di millenni di cultura e spiritualità occidentale, con l’Europa al centro di questo percorso.

Era il fulcro della sua riflessione, in cui intrecciava memoria e futuro, proprio come quell’Enea del mito, che si incammina portando sulle spalle il vecchio padre Anchise e tenendo per mano il figlioletto Ascanio. Con questo spirito, Romualdi mirava a offrire risposte profonde alla decadenza contemporanea, e sebbene alcune osservazioni risultino datate, il suo pensiero conserva una prospettiva di analisi ancora stimolante.