Nel mio ultimo libro ho dedicato alcune righe al Manifesto di Ventotene, soffermandomi sulla sua vera essenza senza trascurare il “contesto storico” in cui nacque.

Vale la pena riflettere su questa tanto invocata categoria del “contesto storico”, sulla quale, in queste ore, vedo molti ululare come ossessi, per poi tornare, più avanti, al Manifesto in sé.

A beneficio di chi si scandalizza per ogni minima quisquilia, vorrei ribadire un principio metodologico imprescindibile: contestualizzare fenomeni, personalità ed eventi storici non è un’arma da brandire nella misera lotta politica a seconda della convenienza, ma un dovere intellettuale. Lo ripeto volentieri agli amici di sinistra, troppo spesso inclini a interpretare vicende di uno o due secoli fa attraverso lenti moralistiche anziché storiche.

Proprio il “contesto storico” permette di comprendere, ad esempio, perché figure come Benedetto Croce, il Maestro Paganini, Pirandello e centinaia di altri intellettuali e artisti, nei primi anni, abbiano guardato con favore al fascismo: il timore del “pericolo rosso”, l’impasse politica del liberalismo, la crisi economica, un rinnovato spirito patriottico dopo una guerra sanguinosa, e così via. E potrei continuare… almeno per altri cinque righi. Questa “comprensione” – nel senso latino del termine – non implica affatto la condivisione di quelle stesse tesi nel presente, ma semplicemente la capacità di inquadrarle nella loro epoca, con le sue dinamiche e i suoi orrori perché gli abomini restano tali: mettere un bambino (o un adulto) in una camera a gas è un abominio, e tale rimane!

Quanto allo spirito di Ventotene – e qui torniamo al cuore della questione – esso diventa pericoloso nel momento in cui, ancora oggi, si erge a principio assoluto, sovrastando con ferocia ideologica ogni identità nazionale e imponendosi come un’entità superiore alla stessa idea di patria. Nessuno lo riconduce al “contesto storico”; al contrario, si pretende di riportarlo nella nostra realtà senza mediazioni né scremature.

Quelle pagine, infatti, non si limitano a esprimere il desiderio di costruire un’Europa forte e centrale – un obiettivo che in molti condividiamo – ma delineano un modello di super Stato, dotato di un potere totalizzante su ogni aspetto della vita politica e sociale di ogni singolo individuo e di ogni specifica comunità. E qui il problema non è solo teorico: al di là del contesto in cui fu scritto, quel progetto contiene ragionamenti pericolosi che, traslati nella realtà attuale, fanno paura e, peraltro, trovano già una preoccupante applicazione nell’Unione Europea di oggi.