Mi attraggono le notizie che parlano di cibo. Al supermercato mi muovo come un alieno appena atterrato sulla terra, leggo tutte le etichette e scarto le confezioni più vendute: biscotti e crakers all’olio di palma (diffidate dell’ingrediente olio vegetale e privilegiate quelle che riportano olio d’oliva o di semi, in genere se c’è scritto solo olio vegetale significa che è stato usato un olio scadente, tipo di palma), succhi di frutta colorati e dolcificati con sciroppi di glucosio, scatolame salato, pane e farina bianca, formaggi non biodinamici, pesce d’allevamento, tavolette di cioccolata senza l’ingrediente principale, il cacao, che voglio almeno al 75%.

 Determinante nella mia svolta nutrizionista è stata una chiacchierata con il professor Franco Berrino dell’istituto dei Tumori di Milano, si occupa di epidemiologia al dipartimento di medicina preventiva Cascina Rosa e guida i gruppi studio Diana dedicati alle donne che hanno avuto un carcinoma mammario. Con poche regole alimentari si riduce il rischio di recidiva. I primi studi sono iniziati parecchi anni fa, i risultati si toccano con mano, nel senso che la dieta contribuisce sul serio a far stare bene.

 Il guaio è che queste indicazioni sono poco ascoltate, l’industria alimentare non le raccoglie perché  – forse con poca lungimiranza – non fiuta il business e al supermercato si fatica a trovare un latte di mandorla o di riso che non sia diluito nello sciroppo dolce…

 Difficile è anche impersonare un sano equilibrio (e parlo per me!) e non comportarsi da fanatica integralista. All’indomani della chiacchierata con Berrino fu lui stesso a suggerirmi di non scrivere sull’onda dell’emozione ma di leggere e far sedimentare le informazioni. Sono passati quattro mesi da allora, durante i quali ho sottolineato tutti i passaggi chiave di Se niente importa di Jonathan Safran Foer (ve lo consiglio!),  Come prevenire il cancro a tavola (di Franco Berrino) In difesa del cibo e Il dilemma dell’onnivoro, entrambi di Michael Pollan.

 All’inizio, ammetto, è stato un disastro, il primo giorno che ho fatto la spesa ho rovesciato sulla tavola fagioli, lenticchie, farro, pasta integrale, farina di segale e di kamut, noci e mandorle (oltre a frutta e verdura). In casa nostra è abitudine impastare la pasta della pizza la domenica,  il compito tocca al marito-principe e devo riconoscere che lo svolge al top. Di botto ho fatto sparire la farina 00, devo aver avuto sembianze e modi da extraterrestre, il principe mi ha guardato senza dire nulla… (in risposta abbiamo avuto la pizza segale e kamut!).

Col tempo sto imparando a controllarmi, ora soppeso le conoscenze alimentari prima di coinvolgere i familiari e ho deciso che frequenterò Cascina Rosa per riuscire a cucinare come si deve i dolci senza zucchero e i legumi in tutte le salse (in compagnia della mia amica Laura, ma questa è un’altra storia di cui vi parlerò).

 E però l’attrazione per le notizie che parlano di cibo mi è rimasta. Sentite queste: un’agenzia uscita in  luglio riferisce che a Pechino sono stati condannati a morte e all’ergastolo cinque persone colpevoli di aver prodotto e venduto clenobuterolo, sostanza tossica usata per stimolare la crescita dei maiali. I cinesi hanno venduto qualcosa come 2.700 kg di questa droga, per un profitto di 2,5 milioni di yuan (pari a 250mila euro). Qualche mese prima l’industria alimentare cinese Jiyuan Shuanghui Food Co Ldt era finita nell’inchiesta sul clenobuterolo e aveva ritirato 4mila partite di carne dai supermercati. I maiali drogati sviluppano poca massa grassa (e pare siano ambiti), gli uomini che mangiano questi prosciutti rischiano alterazioni cromosomiche e disturbi cardiocircolatori.

 La seconda agenzia è uscita il primo settembre, parla sempre di salsicce, questa volta create in laboratorio. Il salame artificiale uscirà dall’università di Maastricht, fra sei mesi. Poi toccherà all’hamburger. Prodotti da cellule staminali di maiali e di mucche, stimolate, risolverebbero, secondo i ricercatori, due problemi: la fame nel mondo e la sofferenza degli animali. Senza contare un altro ambizioso obiettivo, quello di creare carne commestibile proveniente da animali in via di estinzione, tipo il panda-burger… Dimenticavo: una sottiletta di carne in vitro costerebbe 220mila euro (fonte Telegraph online). Ora, ditemi, voi le assaggereste?

 

 

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