Arriva da Marsala l’ultima sentenza che impone agli Spedali di Brescia di riprendere le infusioni Stamina.  “Immediatamente e senza alcun indugio” (entro e non oltre il 5 maggio, anche con  cellule già presenti). C’è da curare Gioele, che ha tre anni e la Sma, la grave malattia degenerativa che se lo sta portando via.

In questa sentenza di quattro pagine scritta dal giudice Antonio Genna troviamo le risposte che non ci sono mai arrivate. C’è il dolore incredulo di due genitori che hanno provato Stamina sul loro piccolo (4 infusioni), lo hanno visto crescere (dai 3,7 chili iniziali, segno di sofferenza muscolare agli 11, 8 finali, peso normale per la sua età) . E poi hanno dovuto fare i conti con quello stop imposto. Con l’incomprensibile voltafaccia dei medici che sapevano del recupero di Gioele.  Un comportamento “barbaro”,  recita la sentenza.  Perché “le condizioni di Gioele ora hanno ripreso a regredire e sono tornate a livelli di elevato allarme per la sua sopravvivenza”.

È giuricamente arduo, infatti, non ravvisare un’atroce barbarie nel privare un malato, ancorchè grave e senza speranza , di un sollievo ancora possibile e umanamente praticabile, perché ciò equivarrebbe a ledere in modo delittuosamente illecito la dignità umana e un migliore livello di benessere non solo del paziente ma anche dei familiari in quanto intrinsecamente assorbiti nella sofferenza del proprio congiunto”.

Insomma, per il giudice, Gioele deve curarsi in fretta. Perché i diritti costituzionali (alla vita, alla salute e al rispetto delle scelte individuali) sono dominanti nel sistema dei valori universali e “non sono ammessi ritardi per controverse quanto imperscrutabili valutazioni economiche, industriali, lobbistiche, eticistiche e burocratiche”.

Gli Spedali di Brescia avevano opposto reclamo – come hanno sempre fatto con tutti i malati in terapia Stamina tranne che nei primi mesi – dicendo che Gioele aveva già finito un ciclo di cure e poi che, per proseguire la terapia, sarebbe stata necessaria una valutazione degli effetti, come previsto dalla legge che disciplina la sperimentazione Stamina. Il giudice spiega che, stando così le cose “nessun dubbio venga più sollevato circa la liceità sostanziale del trattamento in questione, anche perché la possibilità di sperimentare il metodo Stamina è adesso espressamente prevista e autorizzata legislativamente dalla succitata fonte primaria”.

Insomma, per legge la valutazione degli effetti della terapia non è il presupposto per il proseguimento di un singolo trattamento “ma per estendere temporalmente l’intero programma di sperimentazione clinica di Stamina oltre il termine ordinario di diciotto mesi, decorrenti, secondo il decreto Balduzzi, dal primo luglio 2013”.

I miglioramenti

“Nel caso in esame le evidenze -storico fattuali e cliniche- dimostrano in maniera del tutto incontestata che Gioele, sin dalla prima infusione con il metodo Stamina, ha manifestato sensibili miglioramenti che travalicano le ordinarie finalità e aspettative proprie di una qualunque cura compassionevole”. E “partendo da un’aspettativa di vita di circa sei mesi, sta di fatto che, in seguito al trattamento con cellule mesenchimali provenienti dallo stroma osseo del padre, il piccolo è riuscito non solo a superare tale infausta previsione temporale ma ha, anzi, goduto di una sensibile e prolungata attenuazione dei terrificanti sintomi della malattia, giungendo nel giro di pochi mesi, contrariamente a quanto gli era assolutamente precluso, a respirare in modo autonomo, a sorridere ai genitori, a muovere gli arti e a crescere di peso”.  “È documentata l’assenza di qualunque effetto collaterale”.

Il peggioramento

Dopo l’interruzione del trattamento, “le condizioni di Gioele hanno ripreso a regredire e sono tornate a livelli di allarme per la sua sopravvivenza”. C’è il rischio che il piccolo muoia. Il giudice parla di diritto alla salute e di diritto alla vita “essendo evidente che il diniego della prosecuzione della cura Stamina determinerebbe una vistosa e inammissibile perdita di chance di sopravvivenza”. E ricorda “le gravi responsabilità penali a carico di chi è legalmente tenuto a dare attuazione al presente provvedimento “.  In sintesi,  è reato penale non eseguire le sentenze, a maggior ragione in caso di morte del bimbo,  “ove concretamente evitabile e rinviabile alla luce dei positivi risultati terapeutici pregressi” .

La comunità scientifica e la salute collettiva

Leggete qui. “L’inopinata interruzione del trattamento priverebbe la società umana e la comunità scientifica della possibilità di apprezzare fino in fondo le caratteristiche, i limiti e le prospettive di un eventuale futuro sviluppo dell’impiego terapeutico delle cellule staminali mesenchimali sottraendo fondamentali spazi di avanzamento al progresso medico scientifico, a detrimento del miglioramento delle condizioni di vita generali”. L’interruzione della terapia soffocherebbe il diritto all’autodeterminazione individuale. E non è pensabile ritardarla a seguito di controverse quanto imperscrutabili valutazioni economiche, industriali, lobbistiche e burocratiche “perché si rischierebbe di frustrare in maniera irreparabile gli interessi di rango costituzionale, assolutamente dominanti nel sistema dei valori giuridici universali”.

Cosa vale più di tutto? La persona. Il suo desiderio di vivere dignitosamente, il resto passa in secondo piano. E ce lo deve dire un giudice, Antonio Genna da Marsala.

Sì perché finora siamo stati solo bravi a discutere. Stamina non ha presentato i test in vitro e non doveva entrare in ospedale e di chi sarà la colpa. Ma intanto la vita se ne va. E questa volta i colpevoli ci sono. Meno male che ce lo ha ricordato un giudice.

PS. Dimenticavo: quante infusioni farà Gioele?  Andrà avanti a oltranza, finchè lo stabilirà il suo medico.

E pensare che ci stavamo dimenticando anche di questo, che esiste un medico (pensante) per ciascun malato. Grazie Antonio Genna.

 

 

 

 

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