Cancro, il Dna non basta
Si discute spesso, anche sui giornali, della mappa genetica. Ma quanto ci serve conoscere in anticipo il Dna per guarire dal cancro o da un’altra malattia? Quasi a niente. È l’ennesima illusione: ci facciamo fotografare il Dna – a suon di migliaia di euro-, ci sentiamo dire che in esso non vi è traccia di malattia e viviamo felici e contenti (o, al contrario, temiamo di essere condannati!)
Peccato che la doppia elica contenuta nelle cellule (Dna) si possa danneggiare in ogni momento della nostra vita, a tre anni come a 80 ( fumo, radiazioni, sostanze mutagene ingerite come pesticidi, muffe, eccipienti..). E se i nostri geni riparatori non riescono a sistemare il danno o se il nostro sistema immunitario – spesso già provato – va in default come un pc intasato da troppi file, il tumore prende il sopravvento.
Dunque: alle origini del cancro c’è sempre un danno al Dna. Ma non è detto che, con questo danno, si nasca.
E cosa c’è prima della rottura del Dna? Chi o che cosa sballa prima della doppia elica e, in modo consequenziale, la danneggia?
“Immaginiamo l’insieme delle cellule come una città. Le cellule da sole rappresentano una città vuota, non popolata, non viva. L’anima di questa città, è data dagli enzimi. Questi ultimi sono gli uomini che vi lavorano. Infatti, una cellula può vivere senza Dna ma non senza i suoi enzimi” ce lo spiega un ricercatore, Pasquale Ferorelli che da trent’anni studia il modo di fornire informazioni corrette agli enzimi. Che significa?
“L’alterazione di una cellula è l’alterazione della sua catena enzimatica. Quando scopriamo un danno al Dna crediamo di avere in mano l’universo e ci dimentichiamo di quello che c’è prima” spiega Ferorelli. In altre parole: la cellula si ammala se gli enzimi non elaborano le sostanze specifiche per la cellula. Al buon funzionamento di ogni cellula concorrono da 8 a 9mila enzimi. Tutto questo è il fondamento della doppia elica.
Ma esiste il modo di dare agli enzimi sempre e solo informazioni corrette?
Siamo nel campo dell’ingegneria genetica. Prosegue Ferorelli: “Si prenda lo stramonio, è una pianta velenosa sulla quale si riesce a innestare la melanzana. Gli enzimi specifici hanno convertito la tossicità dello stramonio così che, il nuovo frutto, la melanzana, non avrà tracce di veleno. Allo stesso modo, in un impianto industriale, si coltivano gli enzimi specifici per cellule sane. Quando la cellula cancerosa incontrerà il substrato elaborato in laboratorio da enzimi specifici (buoni), gli enzimi del cancro verranno disattivati affamando la cellula cancerogena”.
Significa che questi enzimi ci possono curare?
“Non sono gli enzimi a curarci ma il substrato convertito dagli enzimi – creato apposta in laboratorio – Il substrato è come il rifornimento di un motore, benzina, gas o quant’altro. (Leggete qui)
È come un piatto già pronto (contiene zuccheri, amidi, vitamine) che rifornisce le cellule di energia. Attenzione però. Energia specifica per cellule eucariote ad alta efficienza. Significa che il ‘rifornimento’ è adatto solo alle cellule umane sane. Se le cellule procariote di batteri e virus volessero attingere alla stessa energia non ci riuscirebbero”.
Perchè?
“Virus, batteri e le cellule cancerose si alimentano con un altro tipo di energia. Il nostro è un nutrimento programmato per cellule sane”.
Ci spiega cosa succede alle cellule cancerose che incontrano enzimi programmati per cellule sane?
“Si convertono, liberando acqua e anidride carbonica e l’energia viene ossidata”.
È corretto dire che così le cellule maligne muoiono?
“Non si può parlar di morte. L’unica via è questa, la restituzione di energia sotto forma di anidride carbonica e acqua. L’energia si trasforma, non si distrugge mai. Proprio perchè noi, esseri viventi, siamo i custodi temporanei della nostra energia”.
Così i laboratori di biotecnologia hanno messo a punto un integratore alimentare originato da una serie di conversioni enzimatiche, il Citozym. E sempre più studi ne stanno testando l’efficacia. Nelle ulcere della pelle, nelle placche arteriosclerotiche e nei tumori della mammella. Ecco qui gli studi.