Abbracciamoci
Cari amici del blog, il mio augurio di Natale per voi è un invito: abbracciamoci. Abbracciamoci fra di noi, abbracciamo la vita e abbracciamo anche quello che non ci piace.
Vi presento un libro scritto a 18 mani con l’aiuto di sette autori, cinque medici: Claudio Colombo, Anna Rita Iannetti, Alessandro Meluzzi, Luca Speciani, Giulio Tarro, lo scrittore Fausto Carotenuto e il regista Silvano Agosti. E con il supporto del co-editore Luca Caristina.
Quando mezzo mondo si è barricato in casa in preda al terrore della pandemia, quando l’Italia ferita ha preso il sopravvento sul buon senso e sulla bellezza: chiuse le scuole e le università, morti in solitudine centinaia di anziani, fermo il turismo, sul lastrico le attività, ci siamo chiesti che ne sarà del futuro e cosa succederà ai bambini. Ai più piccoli che non possono più essere presi in braccio dalle maestre o che non vedono da mesi i loro nonni perché domina la paura di infettarsi; ai più grandi che non si scambiano più le matite e i libri, né baci, né carezze. “Nuovi malati da isolamento” verrebbe da dire, scimmiottando lo slogan della “nuova normalità” che dovremmo accettare come un imperativo morale.
Così abbiamo scelto di lasciare una “buona memoria” di chi siamo. Invitando gli autori ad esprimersi, un capitolo ciascuno. E la prefazione al professor Giulio Tarro. Il libro è su Amazon, disponibile in 8 Paesi. Cliccate qui.
In risposta alle sconclusionate regole dei Dpcm – ora ci stanno invitando ad affollare i negozi, affermando che il virus imperversa a orari e momenti precisi; e poi, fra quattro giorni, “le persone che si sposteranno non potranno essere più di due” e “lo spostamento verso un’abitazione privata sarà consentito una volta sola al giorno” e “chi andrà a pranzo dai nonni non potrà la sera stessa andare dai cugini”…
…in risposta alla follia del presente rispondiamo con la concretezza che ci ha portati fin qui:
ricordiamoci che siamo fatti di incontri, di scambi, di sorrisi e di microbi. Che cresciamo guardando negli occhi chi ci sta accanto e che ci trasformiamo insieme alle persone con le quali scegliamo di camminare.
Uno studio pubblicato quest’anno mostra che fra i 100 segmenti di DNA più diffusi in tutta la popolazione mondiale, ben 80 sono proteine modificate nel corso dei millenni per l’adattamento ai virus. Sì: gli organismi umani hanno abbracciato i virus, proprio come facciamo con quei miliardi di batteri che formano il nostro sistema immunitario. Nessuna guerra, nessun nemico, ma fusione. Ringrazio l’epidemiologo Stefano Petti che mi ha segnalato il lavoro. Cliccate qui.
Ma non c’è solo questo.
Per quanto importante, un sistema immunitario equilibrato, non ci rende uomini o donne più coscienti e più maturi. Il “distanziamento sociale”, così propagandato e imposto, fa pensare alla fine dell’essere umano e della collettività. Come intuito dal filosofo Giorgio Agamben: “Gli individui rinchiusi in casa per preservare la salute non sono più individui liberi, non sono più individui. Sono mera sopravvivenza”.
Ci siamo chiesti se il distanziamento imposto non preluda a un più ampio meccanismo di controllo globale. A un futuro sempre più meccanizzato e meno umano. Distanti gli uni dagli altri, infatti, ci si indebolisce, ci si automatizza, ci si deprime. Non si trova più lo spazio per esprimersi, né per dare voce al dissenso.
La memoria di ciò che siamo è ben simboleggiata dagli abbracci e da tutto ciò che questo gesto di apertura porta con sè, da un lato l’unione, la fiducia, l’amore; dall’altro l’autenticità, il mettersi a nudo. L’arrivare al cuore. Qui ritroviamo le famose “leggi non scritte”, che permisero ad Antigone di dare sepoltura al fratello giudicato colpevole dalle leggi umane; quelle che ti fanno chiedere “cosa conta davvero”; quelle che rendono ogni medico, ogni insegnante, ma anche ciascuno di noi, fedele a se stesso.
Ma è anche, dicevamo, un abbraccio che comprenda tutto ciò che non ci piace per comportarci come la natura con i virus, che ha trasformato i “mostri” rendendoli parte di sè. Quindi abbracciare la paura delle malattie, l’inettitudine di questo governo, l’illogicità dell’Aifa che ci vieta l’idrossiclorochina, e quella di Bruxelles che non ha preteso per noi le debite garanzie di fronte ai vaccini sperimentali, lo spettro del deep state e quello della finanza mondiale.
Non fare la guerra non significa però farsi andar bene tutto. O rinunciare a votare, o a curarsi o ad adottare le precauzioni indispensabili per non ammalarsi. Significa non farsi dominare da “altro”, adoperarsi per avviare il cambiamento, non confondere il fine (vivere bene) con il mezzo (l’isolamento, la tecnologia, ad esempio). E scegliere. Perchè davanti a ogni cosa, bella o brutta, democratica o persecutoria, avremo sempre una scelta. E la risposta è nostra.
Buon Natale, di cuore e con abbraccio.