C’è chi si lamenta di non essere mai stato visitato, “non succedeva neanche prima del Covid”. Chi di vederlo sempre occupato a rispondere ai telefoni o al citofono, “perché non può permettersi una segretaria”. Chi della fretta, “accoglienza, visita e ricette ristretti in 4-5 minuti”. Per non parlare delle non-diagnosi. “Avevo spesso giramenti di testa e vista annebbiata, mi è stata prescritto un approfondimento. Ma anche lo specialista mi ha rimandato a un altro, e l’altro a un terzo e così via. Dopo due anni sono allo stesso punto”.

Stiamo parlando dei medici di base. Gioie e dolori dei pazienti, la cui eco, negli anni è arrivata anche alla mia posta.

A onor di cronaca, alle lamentele, vanno aggiunti gli apprezzamenti.

“Non finirò mai di ringraziarlo. Aveva interpretato il mio mal di stomaco come l’inizio di un infarto. E ci aveva azzeccato, a quest’ora non sarei qui”. Oppure:

“Nei primi mesi di pandemia non dormivo per la tosse, ero isolato in una stanza, parlavo con i miei al telefono e lui, il dottore, si è presentato a domicilio, proprio nel periodo in cui veniva loro sconsigliato di visitare i malati. Mi ha seguito con attenzione, sostenendomi anche con integratori, dopo 3 giorni di febbre mi ha portato l’antibiotico. Non mi sono sentito abbandonato”.

Mi ero sempre ripromessa di dedicare un articolo a questi medici che una volta erano chiamati “di famiglia” e oggi sono alle prese con una burocrazia infinita oltre che con un numero esorbitante di pazienti da gestire (a Milano gli iscritti arrivano a 1.500 per ogni medico o pediatra), quindi bersagliati dalle critiche perché non riescono più ad adempiere ai loro compiti.

Poi mi sono imbattuta nel servizio di apertura del mensile L’Altra Medicina, numero di ottobre, dedicato proprio al tema: “Siete soddisfatti del vostro medico?” firmato da Luca Speciani che è anche il direttore della rivista. Chi ci segue dovrebbe ricordare l’approccio medico di Speciani, lo abbiamo intervistato qui.

Come mai una volta si pendeva dalle labbra del proprio dottore e oggi, invece, non se ne ha più fiducia? Cos’è la Medicina difensiva? Dove inizia e dove finisce la responsabilità del medico che applica le linee guida? Siamo un popolo di eterni-malati o viviamo sempre nel terrore che ci accada qualcosa (patofobia)? Speciani prova a rispondere a queste e ad altre domande. Non vi anticipo nulla per non rovinarvi la sorpresa (e l’esclusiva alla rivista).

Torniamo all’oggi. Con l’onda lunga della Covid e con le incognite che ci attendono, i medici di base sarebbero dovuti crescere di numero (al pari dei mezzi pubblici o, abbassando le aspettative, almeno quanto gli inutili banchi con le rotelle acquistati per le scuole). Invece, al pari dei mezzi pubblici, non ve n’è uno in più.

Eppure…

“Dobbiamo ringraziare la medicina del territorio se siamo riusciti ad arginare la pandemia” aveva dichiarato Andrea Mangiagalli, medico di base, impegnato nella rete dei terapisti domiciliari Covid, a un convegno milanese a maggio. Snocciolò i dati, assieme ad altri: la presenza assidua del medico, fin dal primo giorno di febbre (da non abbassare con paracetamolo ma da trattare con un antinfiammatorio) fa un’enorme differenza nell’evitare i ricoveri ospedalieri. Qui un articolo su di lui.

Il capitolo cure domiciliari non si esaurisce con la raccomandazione di assumere antiinfiammatori. C’è stato di recente un convegno in Senato durante il quale i relatori, perlopiù medici di medicina generale, hanno esposto la loro Medicina basata sulle evidenze. Avremo modo di parlare dell’azione dei farmaci da loro impiegati.

Ironia della sorte, sempre oggi, il sistema sanitario sta facendo i conti con gravi carenze di organico. I dipendenti del Sistema sanitario che non accettano la vaccinazione forzata non potranno più lavorare. La stima è di 45.753 fra medici e infermieri, che solo in Veneto rappresenta  il 3%degli ospedalieri, senza contare gli operatori delle RSA e i medici di medicina generale. Situazione simile in molte regioni, scrive La Verità (26-9-21), per questo il governatore del Friuli, Massimiliano Fedriga ha scritto al ministro Speranza. Le conseguenze della politica “o ti vaccini o perdi il lavoro” stanno ricadendo sui malati, “si rischia così l’interruzione del pubblico servizio. Un brutto segnale per un Paese che ha nella sua Costituzione l’assistenza sanitaria garantita a tutti i cittadini” (Maurizio Belpietro).

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