Gli Usa e le politiche anti Covid: “La solitudine uccide più del fumo di sigaretta”
Siamo tutti connessi e per restare in salute dobbiamo continuare ad esserlo. Non c’entra il web nè la testa china sullo smartphone, la connessione cui si riferisce il dipartimento di Salute pubblica americano è quella fra esseri umani.
Il dipartimento ha divulgato una Surgeon General’s Advisories, ossia una dichiarazione a tutti gli Stati, per richiamare l’attenzione su un problema di salute pubblica che oltreoceano ha provocato diverse reazioni. In genere con questi ammonimenti si forniscono anche le raccomandazioni per cercare di risolvere il problema. La notizia è stata riportata anche qui.
In sintesi: la solitudine provocata dai lockdown, le barriere interpersonali, lo stare separati gli uni dagli altri, uccidono più di 6 bicchieri di alcool ingeriti o di 15 sigarette fumate in un giorno.
Non si parla solo di disturbi psichici, depressione o profonda malinconia, derivati dal vivere segregati fra quattro mura. Si valutano piuttosto le malattie del corpo, la demenza per i più anziani, gli ictus e i danni cardiovascolari per chiunque. Un insieme di condizioni che ha provocato più morti premature.
Il parere del Surgeon General che allude proprio a “un’epidemia di solitudine e di isolamento” delinea un quadro per una strategia nazionale che promuova la connessione sociale, che non è mai stata implementata prima negli Stati Uniti. Descrive in dettaglio le raccomandazioni che gli individui, i governi, i luoghi di lavoro, i sistemi sanitari e le comunità in genere possono adottare per aumentare le relazioni sociali nelle loro vite, in modo che nell’intero Paese possa migliorare la salute globale.
Si legge: “Date le significative conseguenze della solitudine e dell’isolamento sulla salute, dobbiamo dare la priorità alle relazioni sociali nello stesso modo in cui abbiamo dato la priorità ad altri fattori critici per la salute pubblica come il tabacco, l’obesità e i disturbi da uso di droghe. Insieme possiamo costruire un Paese più sano, più resiliente, meno solo e più connesso”.
In particolare: “Le conseguenze sulla salute fisica delle relazioni sociali scarse o insufficienti includono un aumento del 29% del rischio di malattie cardiache, un aumento del 32% del rischio di ictus e un aumento del 50% del rischio di sviluppare demenza per gli anziani. Inoltre, l’assenza di vita sociale aumenta il rischio di morte prematura di oltre il 60%.
La solitudine compromette anche la salute mentale. Negli adulti, il rischio di sviluppare depressione tra chi riferisce di sentirsi solo spesso è più del doppio di quello di chi si sente solo raramente o mai. La solitudine e l’isolamento sociale nell’infanzia aumentano il rischio di depressione e ansia sia nell’immediato che nel futuro. E con più di un adulto su cinque e più di un giovane adulto su tre che vive con una malattia mentale negli Stati Uniti, affrontare la solitudine e l’isolamento è fondamentale per risolvere il problema della salute mentale in America.
Infine: “Le nostre relazioni sono una fonte di guarigione e di benessere e possono aiutarci a vivere una vita più sana, più soddisfacente e più produttiva”.
Per concludere
Dopo tre anni, a pandemia finita, con mezzo pentolone scoperchiato (i vaccini che non proteggono, i contratti fantasma e capestro delle aziende produttrici, le terapie per la polmonite imboscate, gli eventi avversi degli anti Covid pervicacemente negati e tutto il resto che sapete) il dipartimento di Salute pubblica degli Usa dichiara che “è stato dannoso mantenere le distanze gli uni dagli altri”.
Molto dannoso, a giudicare dall’analisi diffusa a tutti gli Stati.
Ringrazio il professor Stefano Petti per averci segnalato la notizia foriera di speranza: se in USA si comincia a ragionare sugli errori commessi sarà sempre più difficile riproporre lo stesso modello perfino qui da noi.
Ringrazio anche l’anonimo lettore che nel 2020 ci inviò l’angosciante immagine della scuola cinese che vedete allegata.