Ammetto di aver aver provato una piacevole sensazione nel leggere il manifesto Dignitas Curae presentato ieri a Montecitorio. Sia per il contenuto sia perché il ministro Orazio Schillaci si è impegnato a renderlo concreto.

È una dichiarazione di intenti per cambiare il paradigma della sanità promossa dalla Fondazione Dignitas Cura Ets del Policlinico Gemelli di Roma.  Si parla di centralità della persona, di snellire le lista di attesa, di far sì che ogni paziente sia seguito da un’equipe multidisciplinare. Ma non solo. 

Si dice che la “cura è un’arte” e non una scienza (vivaddio); che il cambiamento da attuarsi “deve allontanarsi dalle derive neoliberiste dominate dalla logica della competizione, della mercificazione, del profitto e avvicinarsi a quelle della cooperazione, della valorizzazione, della solidarietà e della  gratuità”.

La prima cosa che dovrebbe rallegrare è che gli estensori e tutti coloro che ne stanno condividendo i presupposti lasciano intendere una profonda  consapevolezza di quello va storto nella sanità (altrimenti non lo avrebbero fatto). 

Leggete il manifesto: ricompare pure il diritto alla privacy e alla riservatezza (Deo gratias) e si parla perfino di libertà di scelta delle cure (!) e dunque “del diritto a essere informati sulle terapie, a dare il proprio consenso o a negarlo”.

Infatti è inaccettabile leggere mail indignate che raccontano di anziani ricoverati (quanti?) per polmoniti o femori rotti ripetutamente sedati con benzodiazepine somministrate all’insaputa dei parenti (!!!) , tenuti questi ultimi ben lontani con la scusa del Covid (introdotta a discrezione dei direttori ospedalieri a quattro anni dalla pandemia).

La seconda ragione per cui rallegrarsi è più sottile ma non meno importante.

Ieri, nel giorno del chiarimento pubblico della bozza del nuovo piano pandemico, il ministro si è detto totalmente d’accordo con il manifesto Dignitas Curae: “La nuova riorganizzazione dovrà avere al centro il malato e non la singola malattia o le prestazioni”.  Ancora: “Questo documento non può rimanere una dichiarazione di intenti” e che perciò lui stesso istituirà “un gruppo di lavoro per valutare come si potrà applicare”.

Dunque: anche se il ministro Schillaci, o chi per lui, dovessero essere colpiti da schizofrenia e non correggere la bozza del piano pandemico che pare ricalcare quello sciagurato di Conte, noi tutti avremo uno strumento validato dallo stesso ministro che faciliterà i nostri ricorsi.

In che senso schizofrenia?

Non si può con una mano firmare un manifesto che inneggia alla libertà di cura e alla dignità della persona e con l’altra promuovere green pass, lockdown dei bambini per salvare i nonni e costrizioni vaccinali. Può darsi che Orazio Schillaci consideri tutti i vaccini salvifici a prescindere (anche quelli che ancora non esistono), buoni per ogni occasione e malattia, ma certo non potrà pretendere che questa convinzione valga per tutti come recita appunto il documento che lui stesso ha deciso di rendere concreto.

Altro punto:

Se si ripristina l’antico ed eterno principio che ogni essere umano ha diritto di scegliere se e come curarsi, dovrà decadere al più presto anche la legge Lorenzin che ancora limita le famiglie costringendole a rinunciare all’asilo se non fanno una dozzina di vaccini ai propri bambini (a proposito quante defezioni dalle materne si contano dall’approvazione della costrittiva legge?).

Infine, ma non da ultimo.

Apprezziamo moltissimo che il manifesto sulla personalizzazione delle cure provenga da una Fondazione nata all’interno dell’ospedale Gemelli caro al Papa. La Dignitas Cura Ets è presieduta da Massimo Massetti responsabile dell’area cardiochirurgia della struttura.

Nell’ospedale pediatrico vicino, il Bambin Gesù che ha sede a Città del Vaticano, nel 2020 è morta Lisa, 17 anni per un trapianto sbagliato. Le è stato infuso sangue incompatibile, la giovane si è spenta fra atroci sofferenze 16 giorni dopo. Di tutto ciò non sono state date spiegazioni ai familiari – e dopo il decesso nemmeno le scuse – addirittura, settimane prima, i genitori erano stati minacciati dai sanitari dopo la loro legittima richiesta di porre fine a un estenuante quanto inutile ricovero lungo più di un mese.

I genitori, Maurizio Federico, ricercatore dell’Istituto superiore di Sanità e Margherita Eichberg, dirigente al ministero dei beni culturali, oltre ad aver sporto le debite denunce, stanno girando l’Italia per far conoscere la storia della figlia, riportata nel libro “Le tre vite di Lisa”, hanno ottenuto un cambiamento nel regolamento dei trapianti ma mai una parola dai sanitari o dal Papa stesso, nessuna scusa o spiegazione.

Soltanto la parlamentare Stefania Ascari ha appena presentato un’interrogazione al Parlamento che chiede: le ragioni dell’accaduto, trasparenza nell’iter di cure, quali ispezioni intende svolgere il Ministero.

Sembrano universi che non si parlano, la bozza del piano pandemico, il manifesto sulla dignità di cura che parte dall’ospedale vicino a quello dove è morta Lisa, l’interrogazione parlamentare e i tanti casi di malasanità. Distanti anni luce perché non si sfiorano, eppure terribilmente vicini.

Che dite, manca poco?

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