(Non) siam pronti alla morte
Si continua a discutere di fine vita. Da anni siamo in attesa che il Parlamento legiferi le volontà degli ultimi momenti in maniera uniforme.
Ma la sopportazione del dolore e il peso del vivere sono una questione privata come la scelta di fare un figlio, di mettere su famiglia. La legge consente anche di rifiutare un bambino rispettando l’eventuale obiezione di coscienza del medico, come è naturale che sia.
Una legge nazionale sul fine vita, tuttavia, non è ancora arrivata. Non ora che è al governo la destra e nemmeno prima che c’era la sinistra.
Se ne parla, si litiga cercando di tenere il punto su posizioni ideologiche e le Regioni ballano da sole (talvolta con voto espresso dal Consiglio regionale, come accaduto in Toscana, talaltra con la decisione di un assessore, come è successo di recente in Lombardia).
Le Regioni stanno intervenendo differentemente applicando una sentenza della Corte Costituzionale, la 242 del 2019, che regolamenta il suicidio assistito.
Per conoscere cronistoria e contraddizioni leggete qui.
Ipocrisia, effetto della mancata legge?
Tuttavia ci sono altri modi per morire a casa o in ospedale, meno pubblicizzati e sempre con il Sistema sanitario.
Nel 2018 abbiamo parlato di Marina Ripa di Meana che scelse di andarsene con la sedazione profonda. Cliccate qui.
Lo prevede la legge 38 sulle cure palliative del 2010, l’attrice si era già adoperata per andare in Svizzera a chiedere il suicidio, ma, saputo della legge italiana, ha girato un video per raccontare che “si può tornare alla terra senza ulteriori e inutili sofferenze, sia in ospedale che a casa propria”.
Come l’”accompagnamento “, la legge sulle cure palliative è nata per alleviare il dolore, “ma quando questo è insopportabile, irreversibile e si è in condizione di terminalità si può scegliere di addormentarsi” ha chiarito Maria Antonietta Farina Coscioni, dal 2014 presidente dell’Istituto intitolato al marito Luca Coscioni, morto di Sla nel 2006 a 38 anni.
Davanti alle questioni che riguardano la coscienza non vi possono essere paletti, ma solo rispetto. Ne abbiamo discusso tante volte durante la pandemia: nessun medico può obbligare chicchessia a un trattamento non gradito finché costui è in grado di autodeterminarsi.
Un no o un sì della persona valgono tutto, sono il 100% (e sono supra legem).
Legge sì o legge no?
Dipende da come verrà fatta. Come ogni cosa. Sarebbe utile un testo che spazzi via le ipocrisie e che tenga conto che abitiamo una società che non affronta la morte, la considera un errore di sistema (sempre giovani e forti). Invece ci ammaliamo, soffriamo e invecchiamo. In un contesto parziale e distorto come questo il fine vita rischia di diventare l’ennesimo (e ultimo) prodotto da acquistare.
Una direttiva non dovrebbe nemmeno “rendere normale la cultura dello scarto”, ma lasciare al singolo la dignità della decisione, non alimentare forzature o manipolazioni nei confronti dei più fragili che si sentono di peso per i familiari. C’è anche una dignità nella morte come fatto indissolubilmente legato alla vita. C’è una vita/morte, non una vita e semmai una morte.
Lasciamo respirare le coscienze ed educhiamo alla morte fin da piccoli: i saggi che non hanno allontanato il pensiero della fine nel loro cammino sono testimonianza di una vita più piena, meno attratta da cose futili e capaci di cogliere la preziosità di ogni istante.