Gli italiani erano una nazione sovrana a casa propria. Gli italiani erano un popolo in cui i padri riuscivano a fare da ammortizzatore sociale per i figli. E i figli portavano avanti le imprese paterne, nel segno della continuità generazionale, e riuscivano a dare un supporto ai genitori anziani, ricambiandone il favore. Gli italiani erano un popolo che pagava le tasse per avere buoni servizi e non per ingrassare il corpo di quella Bestia chiamata Stato. Gli italiani erano un popolo in cui i i figli rispettavano i padri e gli studenti i professori, e i secondi erano autorizzati a dare un ceffone ai primi, non il contrario. Gli italiani erano un popolo in cui le forze dell’ordine erano ammirate e ben gratificate, dalle istituzioni innanzitutto e poi anche dai cittadini. Gli italiani erano un popolo che metteva in banca i propri risparmi per custodirli e non per farseli fregare. Gli italiani erano un popolo che lavorava per vivere, e non moriva per aver perso il lavoro o per non averlo mai trovato.

Ma il nostro popolo si è trasformato, ha subìto una mutazione genetica, rimuovendo il suo passato e smettendo di credere nel futuro. Siamo senza destino, e insieme privati di un’origine, ridotti a vivere in un incerto e sterile presente. Abbiamo smarrito le radici, i legami, i fili della tradizione e l’amor patrio, ciò che ci rendeva “umili”, più vicini alla terra, e perciò umani. Ma insieme abbiamo perso la dignità, quell’orgoglio nazionale e quel senso di regalità che ci rendeva “sovrani”, per lo meno a casa nostra. Né umili né sovrani, siamo diventati arroganti e schiavi, sbruffoni nei toni e nei modi, ma nella sostanza subalterni e impotenti. Senza stile, senza scettro e senza palle. Succubi di tre nuovi tiranni chiamati Burocrazia, Multiculturalismo e Finanza.

Vale molto di più di noi l’Europa che ci detta regole, valgono più di noi gli immigrati cui spalanchiamo le porte e che credono di essere padroni nella nostra terra, valgono di più i poteri invisibili (e perciò più inquietanti) delle lobby e delle banche.

Vale di più chi rinnega l’italianità, chi scappa dall’Italia, chi ne parla male all’estero prostituendosi al miglior offerente, di chi rimane e continua ad amarla e a difenderla, nonostante tutto.

Eravamo fratelli d’Italia, poi siamo stati camerati e compagni, adesso siamo solo orfani, figli di madre ignota, di “una puttana”, come la definivano i missini nel dopoguerra, “chiamata Repubblica Italiana”.

E siamo anche figli privi di padri della patria, di governanti che ci facciano crescere e pensino al nostro bene da bravi genitori, anziché “stuprarci” e violentarci nelle nostre tasche, nella nostra dignità e nella nostra identità, come dei mostri.

Siamo tante isole senza più un nome, senza più un’anima, senza più una storia. Individui senza una nazione. Noi forse riusciremo a sopravvivere, tirando a campare. Ma i nostri figli, le future generazioni? Se non reagiamo noi adesso, loro saranno già morti prima di nascere.

E io che scrivo, non voglio morire col rimorso di non aver fatto nulla per chi verrà dopo di me, perché avverto una responsabilità civile verso i futuri italiani. E soprattutto mi sento accomunato loro, così come ai miei connazionali presenti, da un’appartenenza che non ha colore né sfumature politiche né età, e che si chiama Identità Italiana.

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