Una volta qualcuno disse: “Nei momenti felici, la gioventù di una grande nazione prende gli esempi. Nei momenti difficili li dà”. Una frase che mi frulla in testa da tempo. Davanti a questo momento orrido, in cui ogni spiraglio per il futuro ed ogni struttura esistente in grado di dare un avvenire ai nostri figli vengono minate dall’interno. Un lento incedere, decennale, ci ha portato sul monte del non ritorno. Il passato è chimera lontana, da rimpiangere, il presente valle di lacrime. Locuzioni temporali, capaci solamente di farci inghiottire il fegato. Da imprenditore vedo davanti a me una landa desolata di giovani. Vedo il loro volto silvano privo d’espressioni. Camminano senza saper camminare. Ma non per colpa loro, non per incapacità o mancanza di spirito d’abnegazione, ma per via delle basi. Le basi a questi uomini del domani non sono state date. E in aggiunta abbiamo aperto le frontiere regalando un pasto caldo ed una possibilità a chiunque. Abbiamo messo in competizione i nostri figli, satolli di materialismo, contro chi ha solo le unghie e la propria rabbia per rimpinzarsi l’intestino. Una lotta ad armi impari. Un modello di civiltà, perché di visione del mondo non possiamo parlare per rispetto di quello che fu questo Paese, ad imbuto volenteroso di lasciarci nel bicchiere l’inessenziale. Stiamo male, eppure balliamo. Quale rammarico nel vedere quello che sarà di questa nazione già ai ferri corti. Possiamo crocifiggerli, possiamo sputargli addosso e possiamo insultarli senza soluzione di continuità, ma tutto parte da chi è venuto prima. Dal padre. Che ora è stato ucciso, immolato per ergere una società senza disciplina, senza regole, senza remore, senza ordine e, sopratutto, senza comando. Parlare di gerarchia riporta alla mente i fasti del Ventennio, ma privi di una guida, sprovvisti di chi mantiene la propria postazione, come il soldato di Pompei incastonato nell’eroismo da Oswald Spengler ne L’uomo e la macchina, nessuna logica è possibile. Frana il mondo, frana. L’Occidente è mortifero. Ha scelto i diritti civili a quelli sociali, laddove i bambini non si procreano, ma si comprano. Non ci accorgiamo che tutto svanisce, che le luci si spengono e che la festa sta per finire. Almeno la nostra, quella che ci “faranno” è tutta in divenire. In un articolo dello scorso anno su L’Intraprendente si leggeva: “La disoccupazione giovanile la fascia d’età interessata quella dei 15-24 anni galoppa placidamente verso quota 40% e ci ha già dimenticato; in sostituzione è arrivato il Jobs Act ovvero curare un raffreddore causando una polmonite. L’Osservatorio sul precariato dell’INPS parla chiaro: i contratti a tempo indeterminato stanno sparendo, in sostituzione sono arrivati i voucher. Torna il cottimo e se non vi chiamate Aleksej Grigor’evič Stachanov sono ‘volatili per diabetici’, Lino Banfi, ça va sans dire. Indovinate qual è la categoria che maggiormente ha accusato il colpo? Quella dei giovani fino ai 29 anni con i contratti siglati a tempo indeterminato crollati del 37% rispetto al 2015, che già di per sè erano inferiori al 2014. Una mattanza. Moriremo precari pagando una rata dopo l’altra grazie al danaro racimolato dalla parentela”. Quale futuro per loro? Quale futuro per noi? La letteratura vedica consiglia: “La mano di un artigiano, quando fa il suo lavoro, è pura come quella di un brahmino”. Il lavoro è stato reso un’anomalia. Una sciocchezza malpagata. Mentre attraverso il sapere manuale e quello intellettuale si forgiano le nazioni. Generazioni di lavoratori senza competenza, voluti da chi detiene il vapore e ci vuole schiavi di una multinazionale. Tolto il sapere, tolte le armi ai soldati, tolte le speranze a chi aveva soltanto quelle. Ciondola questo tempo, rendendo quello che sarà il motore dell’Italia completamente impreparato alla tempesta che ci spazzerà via. Girano a vuoto queste eliche, ma tutto tace nessuno evidenzia l’avaria. Il lavoro è un dono sacro, forgia gli animi e rende l’uomo libero, ma la gabbia dorata intorno a noi ci rende vittime della sindrome di Stoccolma. Esaltiamo il nostro carceriere, moriamo per lui, siamo pronti a tutto per lui. Ansa, a margine di tutto, ci dice: “La disoccupazione giovanile nella zona euro a maggio è rimasta stabile a 18,9% rispetto ad aprile. Stabile anche nella Ue-28, a 16,9%. Mentre in Italia sale al 37%, dal 35,2% di aprile, l’aumento più consistente di tutta la Ue. E si conferma il terzo dato più elevato dopo Grecia (46,6% a marzo 2017) e Spagna (38,6%). La disoccupazione giovanile più bassa si registra invece in Germania (6,7%) e Olanda (9%)”. I numeri ci condanneranno, i numeri ci condannano. Resto impietrito nel vedere con quanta insensibilità i politici di quest’epoca si disinteressino del domani. Ogni amministratore, ogni deputato ed ogni senatore deve avere una progettualità a medio-lungo termine. Qui nessuno è a conoscenza di quello che farà tra una settimana. O forse di quello sì, dato che siamo nel pieno di agosto e per i parlamentari le ferie sono “forzate”. Roberto Pecchioli, sulle colonne di Ereticamente, scrive: “Di che cosa, infine, sarebbero eredi? Forse dello sballo del fine settimana, o dei falsi diritti individuali al capriccio, o ancora dell’egoismo che trabocca ovunque, a partire dalle loro stesse famiglie destrutturate. Non è tutta colpa loro se davanti alla prospettiva di un impiego chiedono innanzitutto se si lavora al sabato o i festivi (come faccio ad andare in discoteca?), o se rifiutano con angoscia il sacrificio, la fatica, il disagio da cui li abbiamo allontanati. Probabilmente sono davvero in maggioranza bamboccioni, ma è l’eredità perfetta di madri e padri iperprotettivi, partigiani intransigenti dei ‘diritti’, e di una società corriva per la quale ogni condotta è lecita purché sia volta al consumo. Non hanno ereditato l’idea di bene e di male, di giusto e sbagliato perché questi legati non sono stati citati nel testamento. Sprecati, consumati, spremuti come limoni, non sono caduti in successione”. Le luci si spengono, cala il sipario, “di doman non v’è certezza”. www.ilgiornale.it www.andreapasini.it

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