L’Italia di oggi non è un Paese per giovani
L’Italia purtroppo non è un Paese per giovani. Questa è una condizione che viene denunciata da sempre più persone, lavoratori, studenti, esperti.
Un Paese che non investe su questa categoria rischia di compromettere il futuro non solo sociale, ma anche economico di un’intera popolazione.
Con la disoccupazione in crescita, la mancanza di riforme strutturali, una mancanza di visione politica a medio lungo termine, le categorie più a rischio saranno quelle più vulnerabili e purtroppo questo è un insegnamento della storia dal quale non si può prescindere.
A pochi giorni dalla firma della Legge di Bilancio, passata in Consiglio dei Ministri, sono ancora poche le misure studiate dal governo Conte per sostenere l’inclusione professionale e sociale dei giovani. La decontribuzione prevista per le assunzioni degli under 35, ad esempio, è subordinata a diversi limiti, mentre l’attuale condizione sanitaria sembra scoraggiare la natalità, con dati e proiezioni che parlano di un vero e proprio crollo delle nascite previsto per il 2021. Insomma una vera catastrofe per il futuro del nostro Paese.
Un grido di allarme in questo senso arriva da svariati categorie sopratutto quelle imprenditoriali piccole, medie e grandi. Cioè le categorie che fino ad oggi hanno di fatto mantenuto ancora in vita questo malandato Paese.
E fondamentale fin da subito rimboccarci le maniche lunghe e essere reattivi rispetto al momento storico. Lo stato tramite la politica dovrebbe sostenere in modo concreto le attività che stanno soffrendo grazie a questa profonda crisi economica e pandemica. Ma non a parole ma con fatto concreti. E sopratutto con soldi concerti. Ci sono aziende che ancora oggi non hanno ricevuto i ristori e le casse integrazioni di luglio. Questa è la punta dell’iceberg di una delle sempre più crescenti problematiche, come il rallentamento dei pagamenti e i conseguenti problemi di liquidità. Oltre ad una miriade di problematiche che purtroppo questo governo a guida Conte al posto che risolvere insiste nell’aumentare c’è il problema dei giovani italiani, che è centrale. Purtroppo, molti giovani si stanno guardando intorno per andare all’estero. Ma questa volta è diverso: non parliamo solo di studenti o neolaureati, ma anche di casi di persone già inserite nel mondo del lavoro come ad esempio imprenditori o persone con percorsi già avviati che con imprese e famiglie decidono di lasciare il Paese perché non vedono più un futuro. Troppa burocrazia, troppe tasse è una politica di un livello così basso mai visto nella storia della nostra repubblica. A questo scenario così devastante bisognerebbe dare risposte e soluzioni immediate e concrete che purtroppo l’attuale politica con l’attuale compagine governativa non riesce a dare.
Il tema parte anche dalla natalità: il PIL è dato in chiusura d’anno a -9% secondo il Governo, con una perdita di quasi 330mila occupati tra febbraio e settembre 2020 a causa della pandemia, di cui 184mila solo donne.
Stiamo vivendo una crisi demografica a dir poco agghiacciante: non si fanno più figli e questo per un Paese vuole dire l’estinzione. Non è solo un tema sociale ma anche economico e dovrebbe riguardare misure di sostegno alla maternità, che purtroppo non sono ancora sufficienti, al contrario di altri Paesi in Europa.
Istat stima una riduzione a 408.000 delle nascite quest’anno, erano 420.000 nel 2019. E per il 2021 prevede un’ulteriore riduzione a 393.000.
Tra 15 anni l’Italia avrà un italiano su 3 over 65.
Un Paese che non investe sulla natalità è un Paese che non sta tutelando il proprio presente ma sopratutto il proprio futuro. È urgente attivare un piano strutturale che eviti il dedalo di micro-interventi, come le ipotesi di bonus bebè da almeno trecento euro al mese. È difficile che una famiglia decida di fare un figlio in questo momento storico. Per incoraggiare la natalità sarebbe bene costruire misure strutturali che supportino l’occupazione femminile, creino disponibilità di posti negli asili, permettano ai genitori di conciliare la vita familiare e professionale. Questo dovrebbe essere il punto di partenza sul quale un governo serio e che abbia a cuore il presente ma sopratutto il futuro del proprio Paese dovrebbe iniziare concretamente a pensare. Il tema della donna, della famiglia e della natalità sono temi centrali per un Paese che vuole garantirsi una identità futura e se non li affrontiamo adesso perdiamo un pezzo importante della strategia di rilancio dell’Italia.
In questo specifico contesto è l’immigrazione che sta compensando la caduta demografica. Il saldo migratorio con l’estero positivo da oltre 40 anni sta limitando gli effetti del calo demografico. In questa direzione, è bene iniziare a ragionare su una politica di immigrazione programmata e selezionata e che sappia agevolare una reale integrazione. Dobbiamo evitare di continuare a vivere le problematiche di questa immigrazione indiscriminata senza regole che purtroppo permette anche a molti criminali di poter arrivare sul territorio italiano illegalmente ed iniziare a delinquere. Dobbiamo evitare di vivere i problemi che vivono oggi Paesi come la Francia ad esempio.
Siamo il Paese che ha meno under 30 nella pubblica amministrazione. Non dobbiamo sorprenderci se nella pubblica amministrazione si utilizzano ancora poco le nuove tecnologie. Non c’è poi solo un problema di età ma di formazione, che in Italia è in media soli 1,02 giorni all’anno.
Anche su questo serve intervenire: con i finanziamenti di Next Generation EU e lo sblocco delle assunzioni. È un’opportunità di rinnovamento da non perdere. Bisogna formare meglio il personale e migliorare i metodi di selezione: chi entra oggi nella pubblica amministrazione deve essere selezionato secondo principi di competenza e meritocrazia non come è successo in moltissimi casi fino ad oggi perché amico degli amici anche se totalmente incompetente.
I giovani oggi più che mai devono essere coinvolti nelle proposte e nelle decisioni e questo non deve essere solo uno mero slogan che la politica usa per prendere qualche consenso in più. Anche perché se si va avanti così si rischia una frattura generazionale irrecuperabile. www.IlGiornale.it