Piazza San Sepolcro, 23 marzo 1919
Nella giornata di domani saranno trascorsi 100 anni esatti dal 23 marzo del 1919. In quella data, in piazza San Sepolcro, a due passi dal Duomo di Milano, veniva siglato l’atto costitutivo dei Fasci Italiani di Combattimento. Iniziava così ufficialmente la storia del fascismo. Di quella, cioè, che Mussolini stesso ebbe a definire “la più audace, la più originale e la più mediterranea ed europea delle idee”.
E audace, il fascismo, in quel 1919, lo era di certo. Leggendo oggi il primo manifesto dei Fasci, pubblicato il 6 giugno dello stesso anno su Il Popolo d’Italia, ci si rende effettivamente conto di quanto le linee programmatiche fossero all’avanguardia per il tempo (e forse non solo). Basti dire che, tra i punti, c’erano l’”abolizione del Senato”, i “minimi di paga”, la “partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell’industria”, la “nazionalizzazione di tutte le fabbriche di armi”, l’affidamento alle “organizzazioni proletarie della gestione di industrie o servizi pubblici” e l’abbassamento dell’assicurazione sull’invalidità e la vecchiaia da 65 a 55 anni. Il fascismo delle origini, lungi dall’essere un movimento di bigotti conservatori era tutt’altro che “di destra”, nel senso tradizionale del termine e così come oggi lo intende la vulgata, applicando erroneamente una categoria storica a realtà politiche che nulla hanno a che spartire con quella visione.
Era, soprattutto, un movimento sociale e patriottico. Sicuramente più anti-liberale che anti-socialista, viste anche le origini e la formazione culturale del fondatore. Sicuramente più rivoluzionario che conservatore. L’ideale punto di congiunzione tra il Risorgimento e il sindacalismo rivoluzionario, tra Mazzini da un lato e De Ambris e D’Annunzio dall’altro. Una strada questa che il fascismo, sedotto e abbandonato dalla borghesia durante il ventennio del regime, cercherà disperatamente di riprendere con la Carta di Verona della Repubblica Sociale Italiana, attorno alla quale si aggregò anche un leninista convinto come Niccolò Bombacci. Ma, ormai, era troppo tardi.
Il sogno era già divenuto incubo, con l’errore mortale di una guerra cui l’Italia non era preparata e nella quale era stata trascinata dall’alleato tedesco, lo stesso che il Duce aveva seguito nella tragica follia delle leggi razziali. Follia che, di “mediterraneo” aveva ben poco. Il mito dell’imperium romano che accompagnava la nascita del fascismo, mito apollineo e solare, poco aveva a che spartire con la vicinanza delle correnti più tenebrose e occulte del Terzo Reich (il cui archetipo, a livello sottile, come aveva intuito anche Carl Gustav Jung, era il cupo dio norreno e germanico Wotan, non certo l’Apollo romano, aspetto invece luminoso della civiltà indoeuropea) da un lato alle fantasie razziali derivate dal teosofismo e dal darwinismo e dall’altro alle frange più estreme dell’occultismo britannico (fenomeno ampiamente e magistralmente indagato dal professor Giorgio Galli). Tendenze, purtroppo, vive ancora oggi nell’ambito del “suprematismo bianco”, che non per caso trova terreno fertile nei Paesi anglosassoni e nei Paesi protestanti del nord Europa, dal KKK fino ai recenti attentati di Utoya e Christchurch.
Furono e sono i tragici errori compiuti dal fascismo durante il ventennio e, soprattutto, nel corso del conflitto a consentire a detrattori e imitatori di accostarne continuamente il nome alle più vergognose derive razziste e, in generale, al nazional-conservatorismo politicante più becero, intollerante e strumentale in ogni angolo del globo.
Ma queste immagini decadenti e crepuscolari, queste manifestazioni di reale disagio di un Occidente al capolinea, avvelenato dalle proprie tossine, poco hanno a che vedere con quel programma, con quella visione del mondo “mediterranea” e “audace”, vergata da veterani delle trincee, sindacalisti rivoluzionari, sinceri patrioti, idealisti e futuristi che, cento anni fa, si trovarono in una piazza di Milano.
Le loro speranze, sicuramente, erano rivolte a un disegno positivo. Cosa la storia avrebbe fatto, di quelle idee, non potevano di certo immaginarlo.