“Porno per bambini”: non vi fu diffamazione. Il diritto di critica è salvo
Raramente scrivo di me stesso. In questo caso, tuttavia, è utile fare un’eccezione. In 15 anni di attività giornalistica e come comunicatore in una sola occasione mi sono trovato coinvolto in un processo per il reato di diffamazione. Si è trattato (qualcuno ne avrà letto) della vicenda “Porno per bambini”. La riassumo brevemente: il 13 dicembre del 2018, in un locale pubblico milanese, avrebbe dovuto tenersi l’inaugurazione di una mostra di disegni a carattere sessuale (“Porno per bambini”, per l’appunto, era lo pseudonimo dell’artista che campeggiava sul materiale promozionale dell’evento), tratteggiati mimando uno stile infantile e fumettistico. Come prevedibile, numerose furono le polemiche (di ogni colore politico, peraltro) che accompagnarono l’annuncio della provocatoria rassegna che, alla fine, non ebbe luogo. Successivamente alla scelta di cancellarla, il 3 dicembre del 2018, scrissi su questo blog un breve articolo di commento, dal titolo “Porno per bambini: orrore demoniaco nella Milano chic”. Il contenuto era certamente forte, ma in alcun modo oltrepassava, per come ha stabilito una sentenza oggi irrevocabile, il (sacrosanto, direi in questo caso) diritto di critica.
Ebbene, fui querelato, insieme ad altre personalità (politici, non giornalisti: tra questi un consigliere regionale allora leghista, Massimiliano Bastoni e l’attuale eurodeputato di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza) dai titolari del locale che avrebbe dovuto ospitare l’evento. Pensammo, naturalmente, che la denuncia sarebbe stata facilmente archiviata, visti i presupposti, che ci parevano quelli tipici di una banale polemica ideologica. Anche perché, tra i tanti che potevano essere denunciati, visti i commenti in quei giorni circolanti in rete, a essere “scelti” furono esclusivamente esponenti di partiti di centrodestra e il sottoscritto, blogger su una testata certamente caratterizzata da un preciso universo ideale di riferimento. Invece fummo rinviati a giudizio. In primo grado, nel 2023, fui condannato, insieme al Bastoni (il procedimento dell’on.Fidanza, in virtù dello “scudo parlamentare” seguì altri binari) a 5mila euro di multa e a risarcire l’artista e i titolari del locale con la (assurda) somma complessiva di 25mila euro. Questo, nel mio caso, perché, secondo il giudice, “(…)il tenore del titolo ‘Porno per bambini, orrore demoniaco nella Milano chic’, affiancato alla pubblicazione della locandina dell’evento era di per se sufficiente a ledere la reputazione dell’illustratore e del centro culturale che si era reso disponibile a darvi spazio(…)” e anche perché, nell’articolo predetto, dichiaravo che le “vittime dell’evento che si sarebbe dovuto tenere il 13.12.2018 sono i bambini”, mentre, secondo l’interpretazione del magistrato, “i fumetti non riproducevano alcun bambino impegnato a compiere atti sessuali, né l’evento era dedicato ad un pubblico di minori, semplicemente l’artista traduceva in linguaggio giocoso immagini dal contenuto astrattamente erotizzante rappresentandole non come avrebbe fatto un adulto, ma come avrebbe potuto fare un bambino se avesse avuto la possibilità di disegnarle. L’intento era evidentemente quello di suscitare ilarità tra gli adulti(…) non certo quello di adescare bambini o di avvicinare questi ultimi al tema della sessualità(…)”.
Naturalmente decidemmo di ricorrere in secondo grado di giudizio. Il mio legale, l’avvocato Marco Martini del Foro di Monza (splendido professionista, cui sarò sempre grato), scrisse nella sua richiesta di accoglimento dei motivi d’appello che “la vicenda in esame si presta, all’evidenza, ad essere affrontata attraverso la lente personalissima del soggetto che l’approccia, frutto del proprio bagaglio culturale, ideologico, politico, religioso, morale. Purtroppo anche il soggetto estensore della motivazione non è riuscito a sottrarsi all’influenza delle proprie convinzioni personali, che si sono sovrapposte al ruolo di giudice impedendogli un’oggettiva valutazione del materiale probatorio maturato in dibattimento, e che lo hanno portato più a difendere l’ente che ha promosso la mostra e l’arte dell’autore dei disegni esposti contro chiunque li abbia invece criticati, piuttosto che dedicarsi a valutare la sussistenza del reato, che pare porsi come mera conseguenza di un ragionamento molto più ampio e solo in parte giuridico”. Si osservava, inoltre, che “l’impugnata Sentenza sostiene che la mostra non fosse rivolta ai bambini e che il riferimento a questi ultimi fosse da porre in relazione allo stile fumettistico delle illustrazioni. Sennonché, gli intenti dell’autore non appaiono esplicitati in alcun modo, ragion per cui ad assumere rilievo è il modo in cui, a prescindere da essi (perché, appunto, non erano resi palesi), un qualunque spettatore avrebbe potuto interpretare l’espressione ‘Porno per bambini’. Agevole è notare come, in lingua italiana, essa assume significato ben preciso, essendo la preposizione ‘per’ indicativa di una specifica finalità. Sicché ‘porno per bambini’ è sinonimo di porno ‘destinato’ ai bambini, così come le ‘Canzoni per bambini’ o i ‘Film per bambini’ sono usualmente intese essere canzoni o film destinati a un pubblico infantile. Dunque, era più che naturale, nel caso di specie, concludere che la ‘pornografia’ fosse appunto rivolta a minori. Il che sarebbe di per sé sufficiente a destare la più viva disapprovazione da parte di qualunque individuo di media moralità o razionalità. Che si possa confezionare pornografia ‘per bambini’ è idea intrinsecamente censurabile al di là dell’orientamento religioso, politico o ideale di chicchessia. Ben difficilmente un’immagine pornografica accompagnata da siffatto titolo -‘porno per bambini’- potrebbe non suscitare punti di vista aspramente critici. E questo, dopotutto, era verosimilmente proprio l’intento dell’autore, il quale, giocando sulla provocazione, mirava a suscitare una reazione ‘scandalizzata’. Non si comprende per quale motivo, altrimenti, avrebbe deliberatamente scelto un nome altrettanto ambiguo”. Le motivazioni dell’avvocato Martini trovavano, in sede di udienza, il 25 marzo del 2024, il consenso del Procuratore generale, che ne chiese l’accoglimento.
Ebbene, dopo l’assurdo teatrino avvenuto in primo grado e mesi (anzi, anni) di preoccupazioni e notti insonni per la sola colpa di avere espresso una legittima, per quanto dura, obiezione nei confronti di una rassegna culturale volutamente provocatoria (sarebbe francamente difficile affermare il contrario), il sottoscritto (insieme al co-imputato, Massimiliano Bastoni) veniva assolto dalla Corte di Appello di Milano – Sezione III Penale, perché “il fatto non costituisce reato“. La Corte, in particolare, rilevava, tra le altre cose, che “gli imputati hanno (…) semplicemente dato una lettura del contenuto della locandina (dell’evento, Nda) corrispondente a quella sopra indicata, ossia al dato letterale della stessa ed hanno espresso la propria critica con termini certamente forti, ma corrispondenti allo sdegno provocato dall’idea che venisse organizzata in città una mostra con un simile contenuto(…) e comunque con espressioni non tali da superare il limite della continenza”. La sentenza è divenuta irrevocabile lo scorso 11 settembre 2024. Una bella soddisfazione, dal punto di vista personale e professionale, sicuramente. Ma, soprattutto, un bel segnale per chi, nonostante i tempi cupi caratterizzati da una sempre più pressante censura ideologica nei confronti di chiuque osi mettere in discussione le conquiste di un supposto “progresso”, ancora ritiene la libertà di espressione un valore inalienabile.