Election Day #1 – Il menu della Casa Bianca: inflazione
«Se anche tutti gli americani fossero tassati al 100% del proprio reddito, gli Usa sarebbero comunque in deficit. Se gli Usa non spendessero più un dollaro per la difesa, le scuole e le infrastrutture, sarebbero comunque in deficit. Semplicemente in quanto pagano gli interessi sul loro debito e l’assistenza sanitaria». Pippa Malgrem, consulente economico-finanziaria della Casa Bianca, ha disegnato così lo scenario a breve termine per gli Stati Uniti. Indipendentemente dalla vittoria di Obama o di Romney, Washington potrà muovere solo due leve: il default o l’inflazione. Scartata la prima (che consisterebbe nel fallimento della principale economia occidentale), bisogna cominciare ad abituarsi alla seconda. Ma che cosa significa inflazione? Significa che la banca centrale, la Fed, continuerà a stampare dollari per sostenere lo sbilancio degli Stati Uniti. Ci sono già dei precedenti: la guerra d’Indipendenza, la guerra di Secessione, la Prima e Seconda Guerra mondiale e il Vietnam. «C’è sempre qualcuno che compra i nostri bond», ha concluso Malgrem.
L’enorme flessibilità del sistema americano consente agli Usa di rinnovarsi in continuazione per superare l’impasse economica che si crea dopo le grandi crisi. Basti pensare come enormi gruppi industriali (come General Electric o Us Steel) stiano riportando a casa la produzione perché è più conveniente. Warren Buffett sostiene che sia molto interessante investire oggi in aziende manifatturiere non indebitate perché potranno scaricare sui prezzi l’aumento derivante dai costi dell’inflazione. Altro segnale evidente in tal senso è il duplice mandato della Fed in questo momento totalmente concentrata sul tasso di disoccupazione piuttosto che sull’aumento dei prezzi. Ecco perché Michele de Michelis, responsabile investimenti di Frame Asset Management, ritiene che dal punto di vista operativo «il posto peggiore dove lasciare i soldi sia il conto corrente, mentre tenere in portafoglio asset reali potrebbe essere molto più redditizio e per assurdo anche meno rischioso». Il ragionamento è semplice: se gli Usa creeranno inflazione, questa tenderà a mangiare progressivamente anche la liquidità lasciata ferma nei conti correnti (o nel materasso). Per questo motivo, conclude de Michelis, «per il mercato obbligazionario suggeriamo solo scadenze corte o bond legati all’inflazione».
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