La Mela ha preso il baco. Stiamo parlando della Apple di Tim Cook, schiacciata dalla concorrenza sferrata da Samsung con la serie Galaxy e da alcune sviste strategiche. Una crisi di  ispirazione confermata dalla carenza di nuovi prodotti made in Cupertino: se per quanto riguarda l’iWatch va segnalato l’avvio della procedura di registrazione del marchio in Giappone, spia che la fase di commercializzazione non dovrebbe essere  lontana  (così come è di oggi la notizia dell’arrivo in squadra dell’ex capo di Yves Saint Laurent, Paul Deneuve, con ogni probabilità proprio per seguire gli «apparecchi da indossare»), non vi è infatti ancora alcuna certezza sulla chiacchieratissima Apple tv.

Come se non bastasse il gruppo Usa ha visto disattese  anche gran parte delle speranze che aveva riposto sull‘iPad mini. A dire il vero mai piaciuto a Steve Jobs, così come appare un tradimento della filosofia del fondatore la stessa idea di allargare l’offerta al low cost per andare a soddisfare in primo luogo le richieste dei Paesi emergenti: a fine marzo per la prima volta in dieci anni il gruppo ha visto scendere i profitti a 9,5 miliardi di dollari, pari a due volte i proventi del gettito Imu sulla prima casa, ma in calo del 18% rispetto al 2012. Cui si sono aggiunti alcuni incidenti di percorso: dagli 8 milioni di iPhone difettosi rimessi negli scatoloni e restituiti ai produttori cinesi di Foxconn al ritardo accumulato, sembra per qualche difficoltà a ottimizzare l’annunciato lettore di impronte digitali, sul lancio della nuova versione del «melafonino» rispetto al calendario con cui di norma Cupertino alimenta i desideri dei suoi utilizzatori.

Non sono chiacchiere da bar. La scorsa settimana ben tre case d’affari (Jefferies, Oppenheinmer e Susquehanna) hanno tagliato le stime dell’utile per azione di Apple per il terzo e il quarto trimestre 2013 (l’anno fiscale si chiude a settembre e il 23 luglio prossimo sono attesi i risultati del periodo aprile-giugno). Le valutazioni, oltre al taglio del prezzo obiettivo, convergono su un dato di fondo: il gruppo di Tim Cook pagherà l’accumulo delle scorte. In pratica nei magazzini si stanno accatastando gli iPhone 5 perché il 4 e il 4S stanno continuando a vendere molto più di quanto ci si aspettasse. Si tratta dell’«effetto-Panda» che Fiat ha già sperimentato fino a qualche mese fa: se il vecchio modello resta in produzione ed è meno costoso, con l’aria che tira, il consumatore finale che entra in un negozio orientato a comperare l’ultima novità finisce col «deviare» su un modello cool ma meno costoso. Gli ordini saranno meno ingenti del previsto. In ogni caso, per osservare quale sia l’orientamento degli analisti potete dare un’occhiata a questa pagina. Ecco perché c’è bisogno che venga tirato fuori qualche coniglio dal cilindro. Non a caso le speculazioni insistono su un’accelerazione del lancio del nuovo iPhone 5S (o addirittura del 6) già dal prossimo settembre, sebbene sia molto complicato accelerare l’ingegnerizzazione di un nuovo prodotto a prescindere dal fatto che il nuovo sistema operativo iOS 7 sia già in rampa di lancio.

Il responso della Borsa, malgrado il plauso al massiccio piano di buy back da 50 miliardi, appare impietoso: a Wall Street il titolo Apple, che solo pochi mesi fa secondo alcuni analisti sarebbe dovuto arrivare a 1.000 dollari, ora passa di mano a 415 dollari. E non va meglio per il maxi-bond da 14 miliardi con cui Cook è andato alla ricerca di altra liquidità, spiegando di non voler riportare in patria il denaro accumulato in passato per evitare di cadere sotto la mannaia del fisco dello Zio Sam. In fase di collocamento l’iBond ha totalizzato richieste per 40 miliardi, a dimostrazione della affidabilità di Apple tra i grandi investitori, ma ora il decennale tratta al 93% del valore nominale (cioè ogni mille dollari investiti se ne sono persi 70). Insomma, non sono più sufficienti annunci come quelli di Cook che ha legato la parte variabile della retribuzione – quella corrisposta in azioni – all’andamento del titolo (grosso sacrificio dopo che nel 2012 ha percepito 4,2 milioni di dollari) 

Ma il nodo, finanza a parte, resta il medesimo: che cosa farà Apple per sorprendere nuovamente il mercato e la setta dei suoi seguaci?Al momento l’unica idea è la riscrittura completa del sistema operativo, con la versione di prova di iOS 7 uscita dalle mani e dalla testa di Jonathan Ive. Il cambio nasconde un’altra delusione per la gran parte degli utenti Apple,  perché Ive ha rottamato in nome della semplicità il cosiddetto «skeumorfismo», quell’impostazione tridimensionale delle icone tipica di Cupertino che faceva apparire tutto più bello e simile a un fumetto. Molti esperti di informatica sono tuttavia convinti che proprio il sistema operativo potrebbe essere il primo passo del riscatto di uno dei gruppi più cool del mondo e che rimane il datore di lavoro più ambito d’America, perché iOS 7 ingloba in sé gran parte delle funzioni che prima gli hacker cercavano di crackare (cioè modificavano violando i codici di sistema). Vedremo se sarà vero, perché resta il fatto che  iPhone e iPad avranno una interfaccia quantomai  simile dal punto di vista grafico al concorrente Samsung, ma continueranno a costare decisamente di più. Ad attendere che Apple proponga, come accadeva in passato, prodotti in grado di stupire sono sia i suoi azionisti sia coloro che, come peraltro gli stessi Wall & Street, hanno sulla scrivania e in tasca tutte le diavolerie di Jobs (dall’iPhone all’iPad, dall’Ipod all’iMac).  Cook se ci sei, prendi il Ddt e ammazza il Baco! O lui si mangerà tutta la polpa della Mela.

Wall & Street

 

 

 

 

 

 

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